Messaggioda Arktos » 14 apr 2015 22:36
Fabio Rizzari, che io sappia, si è sempre occupato di vino e non di calcio o soubrette (anche se, magari, gli sarebbe anche piaciuto), e personalmente trovo la sua weltanschauung (passatemi la parolaccia) circa il mondo del vino (e gli sboroni che - purtroppo - lo popolano) spesso condivisibile...
Fatta questa doverosa, personalissima premessa, ecco a voi l'originale:
"Ancora sui misteri del vino e della sua parabola vitale nella bottiglia. Dopo aver proposto decine di interrogativi e pochi elementi di certezza - un bilancio piuttosto negativo per un critico di vini - in alcuni post delle ultime settimane tra cui Il mistero del colore (cfr. p. 22) appanno ulteriormente la mia immagine di esperto pubblicando un nuovo repertorio di dubbi.
Stavolta tiro le somme di una prova casalinga, che certo non posso elevare al rango di vero e proprio esperimento, sulle diverse condizioni di maturazione che un dato vino può attraversare prima di essere stappato e bevuto.
Dieci anni fa ho messo a dormire tre bottiglie di Château Pichon Longueville 1990 in tre posti differenti: in una cantina cittadina di media qualità (temperatura tra i 12 gradi invernali e i 23 estivi, umidità elevata, intorno all'85%, semioscurità, poche o nessuna vibrazione); in un armadio a muro in casa (temperatura fino a 27 gradi d'estate, umidità modesta, sul 40%, buio, vibrazioni), e infine in una cantinetta climatizzata (temperatura fissa a 14 gradi, umidità sul 70%, oscurità, poche vibrazioni).
Bene. Con la premessa veloce che un Bordeaux è ben più robusto di un bianco o di uno Champagne, l'apertura dei tre flaconi ha dato risultati sorprendenti. Il vino più espressivo e naturale nello sviluppo gustativo è stato il potenziale reietto: il tapino costretto a soggiornare una decina d'anni buttato in un armadio. Più evoluto nel colore, ma più aperto e chiaro nei profumi, freschissimo al gusto. Vicino negli esiti, ma in qualche misura meno sciolto, l'esemplare della cantina cittadina: colore più giovanile, profumi intensi, un po' rigidi, sapore fresco, con tannini più sottolineati. Il meno piacevole si è dimostrato lo specimen della cantinetta climatizzata: di colore vitale ma meno netto nei profumi e un po' contratto al gusto.
Lasciamo perdere le mille variabili in gioco, tra le quali la tenuta dei tappi è senz'altro importantissima. Facciamo finta che si tratti di una verifica attendibile soltanto in base alle condizioni di stoccaggio. Si sa che l'ordine teorico avrebbe dovuto premiare la cantinetta, poi la cantina cittadina, poi condannare l'armadio. Si sa che le reazioni chimiche in un vino coinvolgono centinaia di sostanze. Si sa che seguire le loro interazioni - e la risultanza finale di tali interazioni - è quasi impossibile anche per gli scienziati. Ma un risultato simile è davvero spiazzante. Quindi almeno io mi rassegno: il mistero rimane."
A me non sembra un'asinata, ma una testimonianza interessante e forse addirittura utile. Nessuno mette in dubbio l'importanza delle arcinote variabili, tutti seguiamo i dettami della sommellerie ma forse, per le necessità medie dell'appassionato medio, la cosa si può vivere un filo più serenamente. Poi - ripeto - per la mia cantina ho tentato di adottare tutti gli accorgimenti classici con la soluzione che all'epoca mi è sembrata migliore nel rapporto efficacia/costi.
"I veri intenditori non bevono vino: degustano segreti." S. Dalì