Messaggioda gp » 05 dic 2014 18:44
Ho trovato un vecchia scheda su sei vini assaggiati sette anni fa a un corso di Castagno, potrebbe essere interessante qui. Dato che è una ... lettura alla cieca, ci sono alcuni omissis (...) rispetto a dettagli che potrebbero essere troppo riconoscibili.
IN DEGUSTAZIONE:
Barbaresco 1996 - GAJA
Barbaresco Camp Gros Martinenga 1998 - MARCHESI DI GRÉSY
Barbaresco Rabajà Riserva 1999 - PRODUTTORI DEL BARBARESCO
Barbaresco Asili di Barbaresco Riserva 2000 - BRUNO GIACOSA
Barbaresco Crichët Pajé 1997 - ROAGNA
Barbaresco Sorì Loreto 2001 - VARALDO
Seguono le mie note (ordinate dal peggio al meglio, per cui potete provare ad abbinarle "alla cieca" con i vini, come io non ho potuto fare dato che l'assaggio era a bottiglie scoperte).
1). Intanto, c'era un Barbaresco che non meritava questa qualifica, semmai un Langhe Nebbiolo piuttosto osé.
P con prevalenza di gomma alla fragola e perfino gelsomino, S acido - dolce/vanigliato - alcolico (14° che si sentono tutti), tannini morbidini. Vino bidimensionale, con tendenza da un lato ad appiattirsi ulteriormente al passare del tempo, dall'altro a fare uscire una nota pungente aggressiva.
E' risultato che i produttori usano il rotovinificatore, che comporta una macerazione rapida e movimentata, allo scopo di estrarre dalle bucce alcune cose "buone" e di non estrarne altre di "cattive" (tipo i tannini delle Langhe...). E' uno di quei casi in cui il prezzo relativamente basso per la sua categoria (circa 30 euro) non comporta affatto un rapporto Q/P favorevole. Due bicchieri rossi (= finalista!) 3 anni fa dal Gambero Rosso, un saggio 14/20 da L'Espresso.
2). Poi c'era un Barba. in precoce decadenza, che nella maggior parte delle bottiglie servite presentava un inconsueto e abbondante fondo flocculato (tipo i fondi del tè in foglia, per capirsi).
C molto evoluto, P polveroso - anicione - vanigliato - alcolico, alcol scisso e dolcezza stracca anche nel S. Note nobili: l'acidità molto citrina e la mineralità, con un'eco quasi impercettibile di torba.
Era il frutto di un'annata controversa a Barbaresco, nella quale - per dire - i Produttori di Barbaresco non hanno fatto le riserve. Secondariamente, era uno di quei Barba. "cerchiobottisti" elevati prima in barrique (da cui probabilmente la vanigliona) e poi in botte grande. Vino top per Gambero Rosso e AIS 2003.
3). Poi c'era un Barba. - come dire - disinibito, nel senso che si sarebbe potuto definire "liberamente tratto da" il comune di Barba.
P a dominanza di caffè torrefatto e note bruciate, con un'eco vanigliata, S profondamente dolce (nonostante l'annata) con un coté ematico, acidità viva, tannini "trasformisti" - nel senso che sono un po' naturali e un po' gallici, un po' duri e un po' morbidi, non riesci mai a definirli. Qualche filo della trama appare leggermente sfilacciato dal tempo, con tracce di diluizione (d'altronde risulta essere una cuvée di (...) vigneti, è difficile che siano tutti di massimo livello).
Alla cieca in un ventaglio di rossi eterogenei, non so se avrebbe fatto squillare il campanello del Barba. Anche l'annata mi sembra molto difficile da indovinare. Altro Barba. "cerchiobottista" elevato metà del tempo in barrique e metà in botte grande.
4). Poi c'era un Barba. piuttosto instabile e contraddittorio, senza pace / non pacificato.
P appunto mobile e instabile, con momentanei accessi di anice, cioccolato / mousse di cioccolato, burro, gomma. Al S tannini serrati (forse appena appena secchi, forse semplicemente duri), dolcezza aniciosa e acidità rimarchevole: anche qui nonostante la serietà di fondo non riesce a trovare un "centro di gravità permanente".
Possono esserci due spiegazioni di questa riottosità: la prima è la personalità del cru, che baroleggia e dà vini da invecchiamento; la seconda è una certa tendenza interventista sviluppata negli ultimi anni dal produttore, che introduce elementi contraddittori in un quadro in passato più coerente. Le due spiegazioni non sono ovviamente alternative.
5). Poi c'era un Barba. austero.
P poco espressivo e chiuso, con note di carne frollata e prugna, non è garantita la sua apertura con gli anni. S potente, fondo minerale, progressione tannica che sarebbe contundente se l'alcol e una dolcezza profonda e diffusa non la temperassero, ma paradossalmente bevibile, estremamente pulito e sincero. Al momento è un vin de bouche - categoria che ha sempre avuto numerosi rappresentanti nel passato in molte zone vinicole nobili.
L'annata calda è riconoscibile, ed è probabilmente decisiva ai fini della bevibilità di un vino come questo, che in annate più fredde richiede probabilmente almeno 15 anni per essere approcciato. Qui all'opposto del vino n. 1 risultano (...) giorni di macerazione (!), conditi con (...) anni di botte grande.
6). Poi c'era un Barba. orientale.
P complesso e articolato, nella sua evoluzione parte castagnoso-olivoso-fumé e passa per evidenti note di fondo marino, per approdare a una nota dolce-speziata di tè Darjeeling zuccherato / col latte. A differenza del vino n. 4, la successione degli stati è ordinata e non oscillante; inoltre lo stato che subentra assume come secondari alcuni caratteri primari del precedente (p.es. aleggia fino alla fine un'eco fumé / precocemente goudron).
S dalla profonda dolcezza speziata, tannini fieri che chiedono ancora tempo per ammansirsi, mineralità sfaccettata, castagna / tè / albicocca.
Anche qui l'annata calda è ben riconoscibile, così come la statura di un cru non comune, e direi anche la mano di un produttore non comune. Pare che al momento dell'uscita questo vino sapesse molto di legno ("molto" rispetto al produttore), perché il produttore aveva da poco rinnovato (raschiato?) le sue botti grandi, ma direi che l'ha già ben assorbito. Grande prova di serietà piemontese: le bottiglie inviate erano tutte magnum.
gp