apa ha scritto:Ringrazio anche landmax e gli devo due risposte: se posso scegliere, preferisco le descrizioni ai punteggi; a volte, al termine di una degustazione facciamo dei panel ed attribuiamo dei punteggi a ciascun vino bevuto, ma spesso quest'operazione si rivela troppo schematica ed, in questo caso, non ce ne è stato bisogno.
Caro Augusto, innanzitutto grazie per la risposta.
Quanto alla prima questione, mi permetto di dissentire parzialmente: nel senso che non mi sognerei mai di sostenere che l'analisi di un vino si debba limitare al punteggio (se per caso hai letto le mie note, te ne sarai accorto), ma ritengo non di meno importante che nell'ambito di una degustazione bella e stimolante come questa ci si sforzi anche di dare una valutazione finale di sintesi (con tutti i pregi e i difetti che essa comporta). Dico volutamente "ci si sforzi" perché attribuire un punteggio di sintesi mica è facile! Anzi: richiede elaborazione concettuale, coerenza rispetto all'analisi descrittiva del singolo vino e rispetto ai punteggi attribuiti agli altri vini, insomma: attenzione e sensibilità, razionalità ed anche ragionevolezza. Tuttavia, a mio parere è una cosa necessaria, in quanto la semplice descrizione dei vini non sempre è in grado di restituire i reali valori in campo in senso comparato (ad es.: io ho attribuito 97/100 a Gaja '74 ed 87/100 a Villero Ris. Vietti '07; leggendo le tue note, io non sono in grado di capire se per te vi è la stessa "distanza" qualitativa che io riscontro; al riguardo, ci tengo a sottolineare che i miei punteggi non tengono conto dell'analisi prospettica di un vino, che semmai evidenzio nella parte descrittiva, ma sono attribuiti "qui ed ora", secondo lo stato del vino che si trova nel bicchiere). Quindi, e sempre IMHO, fare una pur ampia e articolata descrizione di una batteria di vini, senza attribuire una valutazione di sintesi ai vini stessi, non dà al lettore un'informazione completa (mentre sgrava il degustatore del compito forse per lui più difficile). Questo, per me, è il punto centrale del "dissenso".
apa ha scritto:Tra le altre questioni che ha sollevato, sono contento che landmax abbia sottolineato il punto critico dell'analisi retrolfattiva e del suo valore, sarà l'unico punto su cui cercherò brevemente di dire qualcosa (lo avevamo accennato nella discussione che abbiamo fatto nel thread le bevute di maggio e, se hai tempo, dagli uno sguardo). Quì il rischio è di essere superficiali o troppo complicati e noiosi, ma proviamo: come hanno scritto diversi autori e tra questi Jacquì Rigaux (già citato nella breve discussione di maggio; se hai tempo dai uno sguardo anche a qualcuno dei suoi testi o, come primo approccio, a qualche sua intervista presente sulla rete) la retrolfazione viene messa in rapporto con il riconoscimento del terroir, riprendendo le esperieze degli antichi gourmet che, già nel XII secolo, erano soliti riconoscere perfettamente un terroir assaggiando il vino con il tastevin e, trascurando l'analisi olfattiva. Gli antichi gourmet si basavano solo sul gusto e la retrolfazione. Non potendo approfondire (e criticare), per ovvi motivi di spazio e disponibilità, tutti gli argomenti collegati a questo punto e, sopratutto, quello della riformulazione delle categorie valutative per l'analisi gustativa, elaborate da Rigaux, mi limiterò a seguirlo quando ci ricorda che nel vino sono presenti almeno trecento sostanze, molte delle quali dovute ai processi di vinificazione. Quando effettuiamo l'analisi olfattiva classica, percepiamo parte di quelle sostanze presenti nel vino e le descriviamo e valutiamo. Per via retrolfattiva, invece, ci troviamo a percepire un numero più ridotto di elementi che sono maggiormente legati al rapporto tra vino e terroir. Quì mi devo fermare perchè, a questo punto, diventa decisivo parlare dei rapporti tra percezione ed interpretazione ma è un tema (che, mi sembra, lo stesso Rigaux abbia approfondito in maniera non sufficiente) che non può essere affrontato in questa sede.
Volendo tornare alla nostra degustazione, potremmo chiederci (e landmax se lo è chiesto, sottolineando alcune informazioni che ha reperito nel corredo illustrativo di alcune delle bottiglie più vecchie presenti alla bevuta) come sono cambiate le tecniche di vinificazione per i Gaja, visto che è stato il produttore maggiormente rappresentato per numero e profondità di annate nella nostra degustazione, e come esse abbiano influito nella nostra valutazione dei vini degustati. Inoltre, potremmo chiederci di quanto si è modificata la provenienza delle uve presenti, ad esempio, nel barbaresco di Gaja (oggi, mi sembra, che provengano da almeno 14 cru diversi). Nelle descrizioni e valutazioni che ho proposto, ho cercato di dar conto di quanto mi abbia colpito l'identità territoriale delle tre annate più vecchie (da quì trae supporto, in senso generale, la maggiore utilità della descrizione rispetto al solo punteggio). Non mi sembra, poi, che con l'età il vino tenda a perdere il rapporto con il territorio di provenienza. Sono in molti a sotenere il contrario. Io posso anche non riconoscerlo (ed è molto probabile) ma l'eleganza, la complessità ed il fiato del barbaresco e del barolo rimangono i loro segni distintivi.
Ti ringrazio per i suggerimenti, che andrò a leggere appena posso, il tema della retrolfazione mi sembra davvero molto stimolante per un degustatore che voglia dirsi quanto meno "attento". In effetti, è un dato empirico quello per cui i più grandi vini hanno una "coda" spesso interminabile e ricca di rimandi aromatici. A tal proposito, segnalo soltanto un aggettivo, spesso utilizzato da Rizzari dell'Espresso (che anch'io talvolta prendo a prestito), che descrive in maniera a mio avviso perfetta la caratteristica dei grandi vini di rilasciare un finale a coda di pavone: "irradiante".
Nel merito della nostra degustazione, temo che Marco dovrà ospitarmi ancora a lungo prima che riconosca in un barbaresco di 40 o 50 anni il "fiato nebbiolesco"...!!!