di ritorno a casa (aggiungo finalmente...
dopo quasi 4000km in poco più di una settimana) mi aggiungo al coro dei ringraziamenti… chiaramente in primis a Marco che come al solito è stato di un ospitalità squisita nonchè, as usual, di una precisione formidabile nella scelta delle bottiglie... di seguito un bel grazie a Paolino che si è sparato tutto il viaggio alla guida, voto: tre volanti...
e, last but not least, grazie anche alla compagnia… è sempre bello passare una giornata come quella di domenica con compagni di bevute di siffatta qualità.
venendo ai vini un po di considerazioni generali maturate in viaggio con grandi chiacchiere con il De Magistris su questo splendido vitigno, l'aglianico, di cui secondo me si sa ancora troppo poco ed è uno dei vitigni con il quale ho più difficoltà a rapportarmi nonostante una certa ampiezza di bevute.
finalmente la giornata di ieri ha messo un punto fermo sulla questione longevità, l'aglianico può tranquillamente sedersi al tavolo con i vini più longevi dell'orbe terracqueo e dare lezioni di evoluzione a tutti i più grandi.
è indubbio che la pulizia al naso e la freschezza di beva delle bottiglie più vecchie stappate - piano dell'angelo a parte, che fa storia a se e ne spiegherò quando troverò il tempo il perchè e l'idea che mi sono fatto... – sono semplicemente straordinarie.
negli ultimi anni ho stappato molti, ma molti "cadaveri squisiti" come li chiamo io (per la surreale capacità del vino di invecchiare meglio e più dell’essere umano), bottiglie a cavallo degli anni '60/80 delle più diverse zone storiche del vino italiano, da grandi manici a misconosciuti produttori ormai scomparsi, ed ho sempre riconosciuto - anche tra i migliori e più grandi in alcuni casi - i segni del tempo, seppur nobili come un filo bianco tra i capelli di una gran bella donna un po agè...
con i taurasi di mastro, e ne ho bevuti un bel po, no.
Niente capelli bianchi.
Dal colore sempre vivo, rubino limpido (domani metto mano al RAL nella speranza di trovare quella punta di colore comune a tutti i loro vini, un marchio di fabbrica come il rosso Ferrari, detto da uno che al colore da il peso delle due figure al tressette…), l’unghia sottile che raramente cede all’aranciato, al limite un lieve mattone, passando per il naso forse un po debole ma raramente brodoso, alla bocca sempre fresca, scalpitante che andando indietro con gli anni presenta tannini sempre più levigati e setosi.
Nel particolare, ‘91/’89/’77/70 (sti cazzi Paolo, se la ’70 è evoluta innaffiamo pure allegramente i nostri giardini con grande parte dei vini che conserviamo in cantina, oppure beviamoli a breve…) incedono uno dietro l’altro coerenti come pochi vini da me bevuti, annate deboli, annate forti, ognuna con la sua severa espressività, ognuna con la sua storia da raccontare (credo che sarebbe stato altrettanto emozionante avere avuto anche l’80 per chiudere il cerchio), ognuna diversa dall’altra e pure legata alle altre da un file rouge grande quanto una gomena.
In ultimo vengo alla riserva ’68, per dire solo che è uno di quei vini irreali che sembra non possano essere toccati dal tempo, ho sentito Marco metterla sullo stesso piano dei vini più grandi da lui bevuti e, pur avendone bevuti molti (ma molti meno…), non posso che essere pienamente d’accordo con lui.
In conclusione però vengo alle note dolenti (a qualcuno che non mi conosce la mia può essere sembrata un inverconda marchetta…) perché la tripletta dei cru del ’68 è allo stesso tempo una fortuna ed uno dei danni più grandi che siano mai stati fatti all’aglianico di taurasi.
Se la scelta quanto meno miope (se non tristemente commerciale) di non vinificare le diverse vigne più vocate fosse stata invece la regola, di che vino staremmo parlando adesso?
Quali effetti avrebbe potuto avere su di un territorio che da meno di 20 anni sta cercando la sua strada?
Il mio parere è che oggi si parlerebbe di taurasi in maniera diversa, ed il ritardo storico con altre zone di produzione ben più quotate sarebbe come meno nullo.
Ma a quanto pare la storia del meridione si specchia nel particolare in maniera più evidente e rivelatrice che nei libri di storia, la storia di un minuscolo comune irpino che aveva un solo pregio che al tempo si potesse pesare sulla bilancia dell’economia, il passaggio della ferrovia (ferrovia che ha portato per anni ad inizio secolo quel vino, l’aglianico di taurasi, a fare grandi i vini dal nome e la storia pesante del nord italia e delle migliori zone di produzione francesi) spiega tanto, ma questa è storia, e Paolo De Cristofaro può dire molto di più e molto meglio di me.
Ps: a breve (anche se credo che non interessi molto…
) un po di considerazioni su quanto altro bevuto domenica.
"stiamo bene nella misura in cui le nostre idee sono umane" Kilgore Trout aka Kurt Vonnegut