Lunedì 12 mattina "fuga dalla montagna" (ero in pensione a Nova Levante per qualche giorno di aria buona) per una breve visita da Martin Gojer e famiglia, all'azienda
Pranzegg di Bolzano. Nell'area Campiglio/Campegno, sul pendio che a sinistra dell'Isarco fronteggia la zona industriale di là dal fiume e dall'A22, sono attualmente presenti solo tre aziende: quella di Martin, che ha i vigneti attorno al vecchio maso del 13° secolo, estesi da quota 280 fino a 400 circa (oltre ad un appezzamento di lagrein più a valle, in zona San Giacomo), ed altre due posizionate più in alto, lungo la strada verso Colle, punto di arrivo della storica funivia.
Vecchio torchio all'ingresso del masoIl "parco mezzi" dell'azienda (notare sulla destra la presenza di un piccolo operatore )Vecchie pergole di schiava di fianco a casaGrappoli di schiava in invaiatura (quest'anno il ritardo è di più di una settimana rispetto alla scorsa vendemmia)Si lavora in pendenza"Cadaveri" (alcuni dei quali eccellenti ) in sala degustazioneLa cantina all'interno della parte antica del masoMartin è giovane e dalle idee decisamente chiare. Solo quattro le etichette prodotte, tutte figlie di una progettualità per nulla orientata a facili scelte di mercato e chiaramente lontana da quanto normalmente espresso dall'azienda familiare-tipo altoatesina: basta dire che nessun vino è DOC Alto Adige, né riporta in etichetta il nome del vitigno, e che per chiudere le bottiglie da 0,75 si usano esclusivamente tappi di vetro (che in realtà ho scoperto essere cristallo di Boemia).
La superficie vitata è di circa due ettari e mezzo, per un volume produttivo di 17.000 bottiglie potenziali per l'ultima annata, ancora tutta in affinamento. In vigna è in corso l'iter di certificazione biologica, in cantina non si usano lieviti, non si filtra né si chiarifica, lasciando ai vini una naturale stabilizzazione tartarica col freddo invernale.
I vini, nell'ordine:
Caroline, 2011 (14,5%)
Etichetta che Martin ha dedicato alla figlia. Chardonnay, sauvignon, Manzoni bianco e viognier piantati a guyot nella porzione più alta sopra il maso, raccolte assieme e vinificate in legno di medie dimensioni. Per un disguido (in frigo non ce n'era più) è stato assaggiato a temperatura di cantina, 16-17 °C circa, il che ha fatto secondo me emergere troppo alcuni toni "sponti" non pulitissimi; per il resto un vino dalla trama fitta e grassa, pompelmo e acacia, più sapido che acido. Da risentire in altre condizioni ed in altra annata (ed infatti per non sbagliare mi sono assicurato una magnum di 2010).
Campill, 2010 (13%)
Schiava da piante vecchie (45 anni in media) con un 5% di lagrein e barbera compiantate nel tempo per colmare le fallanze nel vigneto, macerazione di un mese e poi legno grande. Servito inizialmente troppo freddo, parte leggermente ridotto ed animale al naso ma si ripulisce bene scaldandosi nel bicchiere, poi viola e toni cioccolatosi, ed una fragolona netta e matura per finire; palato dalla polpa e dallo spessore tannico impensabili per la schiava per come la conosciamo oggi, anche se Martin diceva che i vecchi bolzanini ricordano quanto fosse apprezzato per la corposità il vino proveniente da Campiglio. Parecchio indietro e bisognoso di tempo.
Quirein, 2011 (14%)
Lagrein con una piccola quota di merlot, macerazione di due mesi, anche qui botti da 20hl ed una piccola parte in barrique. Il vigneto è a guyot, piantato una decina di anni fa sotto al maso sulla porzione più bassa, dai terreni più sciolti. Scuro (ovviamente già dal colore, praticamente impenetrabile) ma non cupo, carne cruda, mora, silhouette di bocca sorprendentemente vellutata ed agile, golosa di frutto grazie alla generosità dell'annata: sembra nettamente più pronto del Campill (mentre Martin sta tenendo in cantina la 2010, proprio per le caratteristiche generali dell'annata). Finale lungo, amaricante senza alcuna rugosità tannica. Nitido.
Jacob, 2012 (13%)
Lagrein kretzer dal vigneto di San Giacomo (da cui il nome), vinificato in cemento. Messo alla fine "per rinfrescare la bocca", si rivela essere un'autentica bomba: melograno e mix di agrumi (avete presente quando si aprono quelle scatole di caramelle inglesi agli agrumi, con l'odore dei frutti frammisto alla dolcezza dello zucchero a velo?) ed un lontano pepe...il tutto presentato, se vogliamo, in un modo vagamente evoluto; ma la beva è immensa, un concentrato di salinità ed agrumi, per un finale asciutto ed appunto rinfrescante, rigenerante. Slurp.
Vini di impatto, pieni, intensi, di sicuro dalla spiccata territorialità per quanto riguarda i due lagrein; il Campill invece direi che "va capito"...certamente non è vino per gli amanti delle "schiavette" (cit. Arnaldo), che pure intendiamoci hanno una loro dignità. In ogni caso, bravo Martin Gojer!