Dedalus ha scritto:Rossese di Dolceacqua DOC Vigneti d'Arcagna 2004 - Vignaioli Testalonga Antonio Perrino
Occhio granato scarico ma piuttosto brillante, con ampia unghia aranciata, non perfettamente limpido ma pulito.
Il naso all'opposto ti fa uno scherzo strano: anziché nasconderti qualche descrittore da districare più o meno faticosamente nel mezzo del flusso alcolico e delle note genericamente vinose, svuota completamente il bicchiere, ci butta dentro una zaffata di aria tersa e calma di scogliera, e nel mezzo ci distribuisce bei mazzetti di spezioline ed altre cose belle.
La trasparenza. Un naso netto è una cosa. Un naso trasparente è un'altra. Quanto sono rari i nasi trasparenti nel vino, in quello rosso? Rarissimi, sono. Vertici assoluti. Rayas, Haut Brion, Clos Rougeard, il Quintino Sella o il San Sebastiano a seconda delle annate, Monprivato più di Cà d'Morissio e anche più di Monfortino, il Carema di Ferrando, Soldera più di Biondi-Santi, a modo loro i grandi Patriglione e i grandi Duca Enrico al culmine della parabola. In una classe già inferiore di trasparenza, gli ultimi Monvigliero di Burlotto, l'Osso San Grato 2004 e 2006 più del 2005 e del 1999, Poggio di Sotto, il Lagrein di Mayr Nusserhof...
Il naso di un vitigno neutro che raggiunge, con i propri descrittori tipici, la nettezza e definizione, la perentoria capacità di evocare la diretta presenza degli oggetti nel bicchierie che è propria dei vitigni aromatici. Ma da vitigno neutro è sfumato, cangiante, mobile, in continua e progressiva evoluzione nel bicchiere: sorprende anziché accattivarsi, affabula anziché sedurti, affascina anziché attizzare. Eppure non trapassa mai nella poetica dell'indistinto, dell'evocativo, rimane sempre sobrio, nitido, materialmente presente. Non c'è insomma bisogno di perdersi in allettanti fantasticherie per finire a dire il classico "un vino così non si può spiegare quanto è buono, tanto è perfetto".
Ecco qui il rosmarino e il timo secchi, mischiati insieme al centro; poi una punta di lavanda in un angolo, e a fianco il pugnetto del pepe nero sgranato, ma non crudo, non pungente, non trigeminale. Da qualche parte anche una punta più densa, forse alloro, ma no, è solo il primo emergere della china che sarà fra qualche anno.
Uno stacco netto, come se questi aromi-oggetto fossero in sospensione nella parte alta della cassa armonica del bicchiere.
Sotto, appena meno netti che sopra, i frutti dolcissimi del mediterraneo, i datteri, i fichi bianchi freschi; il frutto rosso non è più l'acquerello della prima gioventù, si scioglie in afrori più densi e di ciliegia matura, di fragolina di bosco quasi avvizzita, e solo qui e lì fa capolino qualche nota più nitida di melograno. Il frutto di bosco è un ricordo ormai lontano, come l'alito alcolico del vino, che proprio non si trova più.
In fondo in fondo, gentile, il mare.
La bocca scorre lieve e precisa, dall'attacco al centro bocca, senza perdere un millimetro di palato e senza lasciare una striatura di troppo, pennellando le curve del gusto come fanno i grandi piloti, che più vanno forte e più sembra che la macchina vada sempre alla stessa velocità, senza il minimo sbandamento - ed è proprio per quello che vanno sempre più forte. A tre quarti bocca il vino schiocca, si apre alla sapidità misurata che infiltra inesorabile tutta la bocca, senza per questo dover sloggiare la dolcezza del frutto, la carezza del tannino maturo e finissimo. E' qui che si ripete crepitante e misurato lo spettacolo aromatico del naso, che il vino diviene gioia sensoriale, che ti piglia alla gola non mentre il sorso scende, ma mentre sale quel piccolo groppo di felicità di cui può essere capace il vino. Volendo tornare alla concretezza del vino, si potrebbe volere la stessa perentoria nettezza ed intensità del naso, una lieve maggiore purezza tattile, e saremmo davvero davanti ad uno dei grandi vini del mondo. Non ce li ha, rimane qualche passo indietro, medaglia di cartone alle Olimpiadi.
Nondimeno, nella notte silenziosa, una goccia sola nel bicchiere vuoto vale ore di naso a disposizione; un piccolissimo sorso, minuti interi di queste cose.
96/100
"E allora, accertato che davanti a “vini di terroir” certamente ci trovavamo, la domanda “cosa c’è di particolare in questo vino?” si è trasformata in un’altra. Ci siamo chiesti: “cosa manca?”. Non abbiamo trovato dunque altra risposta che questa: che un “vino di terroir” sia destinato a premiare chi approcci il bicchiere alla ricerca di ciò che non c’è rispetto alla maggioranza dei casi, quando il profumo e il carattere varietale del vino ci vengono addosso quasi con foga; al loro posto, brilla una latitanza inattesa, uno spazio vuoto, che niente riempie. Il terroir si traduce in sostanza in una concatenazione di assenze. Lavora per sottrazione e il risultato finale sa di poco, perché poco di percepibile rimane in un vino una volta silenziati la zavorra del varietale, i lacerti della fermentazione, i riflessi delle umane azioni in vinificazione. L’elisione rivela il terroir nella sua nuda essenza, fatta di dettagli aromatici sussurrati troppo piano perché li colga chi non sia ad essi già attento, un po’ come accade con i neutrini in un osservatorio astronomico o più romanticamente con le scritte tracciate sotto le gallerie ferroviarie, illeggibili per chi non le stesse aspettando e non avesse predisposto gli occhi ad una fuga velocissima. Un vero “vin de terroir” ha una neutralità che sconforta, e agli occhi del consumatore il suo portamento gustativo regale, tenace, talvolta straripante, non lo redime; quando espressa in maniera radicale, la ricetta è risultata idonea a non recare alcun successo da quasi trent’anni a questa parte né sul mercato né presso la stampa specializzata. Perché un vino di terroir è “solo” di terroir, non “anche”; è una strada impervia. All’assaggio, parte dove gli altri esauriscono il loro abbrivio, cioè a metà strada nel percorso che conduce dalle labbra al fondo della bocca, dove i recettori umani si specializzano nel cogliere le sfumature dell’acido, dell’amaro, del salato, laggiù dove si sviluppa la persistenza, dove si perfeziona il senso di coinvolgimento che un vino può regalare a chi lo degusta; e là dove è necessario porre la maggiore attenzione alla dinamica dell’assaggio per imbroccare anche un singolo abbinamento con il cibo".