l'oste ha scritto:L'importante è capire che in questo caso (per me sempre) i punteggi siano un mezzo e non un fine.
Ma credo che per altri sia esattamente l'opposto.
Sono perfettamente d'accordo.
Non fosse che, proprio quelli per cui i numeri sono il fine e non un mezzo, sono quelli che non capiscono lingua diversa dallo sfondamento ad ariete dei punteggi centesimali, e alla fine non sanno che farsene di descrizioni che tanto più sono alate ed ispirate, tanto più vengono derubricate ad "emotive", quindi incapaci di dare un qualche riscontro "ufficiale ed oggettivo".
Quindi se il numero non ce lo metti tu, ce lo mettono loro, e riportano tutto al pregiudizio proprio di chi ragiona con i numeri, con l'illusione di oggettività matematica delle valutazioni consolidata nelle publicazioni più famose, e il cerchio si chiude.
Si chiude come ha detto con sintesi illuminante Pigigres a bere solo Monfortino 1943. E poi non bevi più. Nel senso che una volta che hai fissato il tuo Monolite Nero nel cervello, sei diventato un adoratore di un feticcio psicologico, e tutto il resto dell'esperienza è bella che morta, e ti aggiri da una degustazione all'altra credendo di essere ancora vivo, e invece sei in piena ipnosi da mesmerizzazione. Sei morto al vino da un pezzo, non te ne accorgi e non te ne accorgerai mai più.
Un Rossese di Dolceacqua del 2004 con l'etichetta stampata sulla carta da pacco, il carattere composto a mano che si usava per fare i cartelloni delle rappresentanze d'istituto al liceo negli anni '70, e l'annata e il grado alcolico corretti a mano con un pennarello sui dati stampati del 2000. Un vino da una dozzina di euro che se vedi sulla lista di un'osteria appena fuori casello mentre sei in viaggio di lavoro, lo eviti accuratamente, perché pensi che l'insalata condita con un buon aceto ligure ti piace pure, ma te ne basta uno spruzzo, e 750 ml sono decisamente troppi. Un vino così può portarsi appresso tutta la poesia del mondo, rimarrà sempre relegato in questa descrizione materiale, e mai riuscirà a prendere corpo in qualcosa di diverso. A meno che non si porti appresso il campanellino sonante del punteggione da ultima cinquina.
“La cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore; è presa di possesso della propria personalità, e conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.”