Brevi dal mio soggiorno marchigian-romagnolo degli scorsi giorni...
Aperitivo con crostini, ciauscolo e casciotta di Urbino:
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Tralivio, Sartarelli, 2017 (14%)
Workhorse, verdicchio "da tiro" nel senso più nobile che sottende al termine in Inglese: paglierino appena appena carico alla vista, naso di cera e pompelmo, prezzemolo e fiori bianchi, in bocca una bell'impronta "verde", dove la grassezza viene quasi nascosta da un comparto acido sorprendentemente in palla (l'annata in zona come si può definire? Premesso che quella successiva è sempre migliore...
), ed un tocco amaro-pompelmoso finale. Prevedibile se vogliamo, ma davvero inappuntabile.
Con cavatelli (solo acqua e semola rimacinata...dimensione veramente microscopica...) con ceci, patate, muscoli e lupini all'Osteria di Palazzo Barberini nel centro storico di Senigallia (consigliabile):
Bianchello del Metauro Tenuta delle Grazie, SorRico, 2019 (12%)
Paglierino sostenuto. Naso di macedonia di frutta lasciata un po' troppo fuori dal frigo (combo banana/melone "andanti"), cui nel tempo si aggiunge anche una dimensione floreale più delicata (glicine). Capiamoci: non un brutto naso, ma forse in fermentazione gli è scappato via qualcosa. Bocca appena appena glicerica, nonostante il basso alcol, abbastanza dinamica ma un po' scissa, non di compiuta armonizzazione tra i toni "gialli" preponderanti del naso, ed una sotto-traccia vegetale, malica, di frutta acerba. Non entusiasmante, onestamente.
Con pappardelle al sugo di agnello:
Sangiovese Forlì IGT Ronco dei Ciliegi, Castelluccio, 2011 (13%)
L'
Esprit du Temps fortemente bordolesizzante della Castelluccio dell'era Vittorio e Jurij Fiore (ahimé, se penso che anche quell'epoca è ormai solo un ricordo...
) mi appare evidente fin dal primo approccio a questo vino: color rubino scuro appena trasparente, con pochissimo orlo, e naso di volume e definizione notevoli sin da subito, tanta balsamicità fresca che si accompagna al frutto di bosco in coulis, il tutto sotto un manto boisé non certamente invisibile (più spezie che vaniglia, comunque). Anche un qualcosa di vegetale (mallo di noce?) nel tempo.
Bocca nuovamente di gran freschezza e (perdonatemi se mi mi ripeto) definizione, ed un finale di eccellente pulizia, grazie ad un tannino davvero rifinito e lucidato a specchio.
Un tempo sarei stato più
tranchant con vini di questo tipo, se valutati, come ero più propenso a fare, attraverso la lente della tipicità ad ogni costo; ora invece ne riconosco prima di tutto la fattura in senso assoluto, ed in seconda battuta la longevità ed il rigore.