CENTRE DE LA VAL DE LOIRE
Dopo la pausa covid-forzata ed il precedente tour di qualche anno fa a Sancerre e Pouilly decidiamo di spingerci un po' più in là, alla scoperta di cabernet franc e chenin. Prima tappa: Vouvray.
Domaine Huet
La moderna sala di degustazione nasconde l'imbocco della cantina storica, scavata nel tufo bianco, simile a quello delle cantine della Champagne per capirci, che costituisce il sottosuolo di Vouvray e quindi del suo terroir, dove le vigne migliori hanno pochissimo terreno a disposizione prima che affiori questa pietra. Lunghi cunicoli pieni di pupitre si spingono fino a 30 metri sotto terra, dove in una sala più grande troviamo l'antico pressoir, salone diventato balera illegale durante l'occupazione nazista, e dove si notano strati di sabbie gialle e silice ad intervallare il tufo. Producono circa 130mila bottiglie l'anno, e su tutto comanda la natura, sia con le gelate (nel 2020 produzione più che dimezzata) che con la scelta delle diverse cuvée da produrre, secche/semisecche/dolci/botritizzate, che dipendono dall'andamento della maturazione delle uve. Niente malolattica per preservare la freschezza. Sono molto orgogliosi dei loro metodo classico prodotti (Vouvray Petillant) e devo dire che hanno un loro perchè, compreso anche l'assaggio di una magnum di 2013 spuntata per caso. Tiraggio e dosaggio vengono fatti aggiungendo del moelleaux, niente zuccheri, basse atmosfere per ottenere una bolla delicata. Tra i diversi fermi segnalo Le Haut Lieu sec 2019 (vigneto con più argilla in superficie), minerale e pietroso, ma dal sorso delicato e leggiadro, il Clos du Bourg demi-sec 2020, dal naso più tropicale e dalla salinità spiccata, il Clos du Bourg moelleaux 2018, da annata più calda dona un vino più grasso e maturo, con sempre il glicine a fare da trait d'union tra le varie cuvée fin qui assaggiate. I tre Premiere Trie assaggiati sarebbero tutti da segnalare (solo uve botritizzate dai migliori grappoli), dove troviamo toni simil-Sauternes uniti alla maggior leggiadria e florealità di Vouvray. Erano il cedrato Clos du Bourg 1er Trie 2006, il grasso Haut-Lieu 1er Trie 2003 ed il botritizzatissimo Le Mont 1er Trie 2005. Lo stile della maison è indiscutibilmente l'eleganza e l'equilibrio.
Domaine du Clos Naudin-FOREAU
Ci spostiamo qualche civico più su, qui l'accoglienza è più spartana, si degusta in piedi, sempre nei cunicoli scavati nella roccia, in piedi attorno ad un secchio/sputacchiera appoggiato in terra. Ma i vini meritano, ed il cambio di stile è netto, qui è tutta energia e carattere. Da segnalare: il Vouvray Sec 2020 che è una sventagliata di acidità e sale, ancora sulla pera verde al momento, puro e cristallino, molto buono. Il Sec 2010 è evoluto su di un naso di seltz e fumè, ma c'è ancora anche il pompelmo, lunga vita a lui... Il demi-sec 2016 è tutto pompelmo rosa, e grazie al residuo acquista maggior equilibrio. Il Moelleux reserve 2005 (i reserve sono in parte uve appassite ed in parte con Botrytis) è parecchio buono, fresco e grasso allo stesso tempo, di frutta sciroppata, albicocche secche e mela renetta. Altrettanto buono ma ovviamente ancora da farsi il Reserve 2020.
Domaine Vincent Carême
Qui visita veloce, è ormai l'orario di chiusura e non hanno voglia di balle, ma riusciamo comunque ad assaggiare 4 vini, dei quali segnalo solo il Vouvray Sec 2019, dal buon rapporto q/p e dalla leggera vena amarognola finale. Sicuramente ha subìto la presenza dei due fuoriclasse degustati in precedenza...
Ci spostiamo a Saumur dove faremo base, vista notturna del Castello e cena a Le Pot de Lapin dove si mangia discretamente, ottimi formaggi, niente da segnalare sulla carta vini.
ex Domaine Delesvaux ora Domaine Drost
Il giorno dopo ci spostiamo in Anjou, e cominciamo il balletto degli ex... Due questioni stanno interessando numerosi produttori storici francesi, le altissime tasse di successione e la mancanza in famiglia di eredi interessati al mestiere di vigneron (la solita storia di chi ha il pane non ha i denti etc...). Monsieur Delesvaux dopo aver creato dal nulla un'azienda di assoluto riferimento per la zona è ormai stanco ed ha venduto quest'estate ad una coppia giovane già del settore mi pare di capire. Ci accoglie comunque ancora lui, in quanto rimarrà per un annetto per il passaggio di consegne. Arriviamo avvolti nella nebbia, che ci seguirà ad intermittenza per tutti e quattro i giorni, la cantina è un orrendo capannone in metallo su di una delle basse e dolci colline dell'Anjou. Oltre la nebbia, ed oltre il fiume ad una ventina di Km si vedono la Roche aux Moines e la Coulee de Serrant ci dice, ma al momento possiamo solo immaginarle... In vigna sui ceppi più vecchi cresce florido il muschio, umidità e nebbia sono di casa. In questa zona non troviamo più il sottosuolo tufaceo bianco che va da Vouvray a Saumur, ma un terreno molto pietroso principalmente di scisto, e lo Chenin in versione secca si fa in generale più duro e minerale. Questo, unito alle nebbie autunnali che vanno e vengono grazie alla Loira ha naturalmente creato un terroir ottimale per i vini dolci botritizzati. Trascurabili seppur interessanti i rossi, si fa invece sul serio con gli Chenin: se il Feuille d'Or 2019 è davvero un ottimo e piacevole base, il floreale Franc de Pied 2018 si fa più completo, la freschezza è tamponata da buona grassezza e le note mielose solo accennate. I dolci sarebbero tutti da segnalare... a partire dal cristallino Coteaux du Layon Passerille 2019 (solo appassimento in vigna) molto equilibrato al sorso e dal residuo contenuto, si sale col Les Clos 2017 (50% passerille e 50% Botrytis) con le note piccanti della muffa nobile solo accennate e dalla bocca ancora agile, al cognaccoso Grains Nobles 2018, da uve 100% Botrytis, di uva passa e caramello, che nella versione 2010 (grande annata per i dolci, ci dice) si fa grasso e setoso al sorso con la freschezza che pulisce sul finale, più fruttato al naso, per finire con l'Antologie 2010, prodotto in stile "essencia" solo in 4 annate fin ora, viscoso e salmastro, fungo e fico secco, dolcissimo senza stancare...
Domaine Belargus EX-PITHON-PAILLE
Contatto il Domaine Phiton-Paille e mi rispondono da tal domaine Belargus a me sconosciuto... anche il vecchio Jo Phiton un paio di anni fa ha ceduto l'azienda ed i suoi 9 ettari di vigneti ad un imprenditore a cui non fa sicuramente paura investire visto che ora gli ettari sono diventati ben 24, allargandosi anche alle AOC limitrofe. Decidiamo comunque di dargli fiducia e ci accoglie il responsabile commerciale, che parla anche un po' di italiano. Prima degli assaggi giro nei vigneti, ci tengono a farci vedere in particolare una vigna cara a monsieur Phiton, una ripida costa poco lontana dal fiume Layon, le particolarità sono due: l'esposizione in pieno sud (esatto, la maggior parte dei vigneti della zona ha esposizione nord, nord-est o nord ovest, su di alcune colline/panettone molto dolci, come vedremo dalla sommità del vigneto), la seconda è che erano diventate decine di microparcelle di boscaglia, che Jo ha pazientemente acquistato, disboscato e ripiantato, in quanto vigna abbandonata dalla seconda guerra mondiale. Degli assaggi segnalo l'ottimo q/p del floreale Anjou Noir 2020 (è un bianco ma si chiama nero, per richiamare il terreno scuro di scisto, a differenza delle zone con tufo bianco verso Saumur). Molto interessanti (anche se non dei campioni) i secchi dalla zona di Quarts de Chaume: in questo grand cru per i vini dolci, su di un totale per la AOC di 40Ha ce n'erano ben 10Ha quasi in corpo unico invenduti da diversi anni, gli sweet wines non tirano più come una volta... acquistati con l'ampliamento aziendale si è deciso di produrne soprattutto versioni secche. Saranno però i dolci a convincermi di più, in particolare il goloso e cristallino Quarts 2018. Tra i secchi convince anche l'agrumato e salino Anjou Les Treilles 2018 (dal famoso vigneto visitato prima), ma davvero eccessivamente sovraprezzato a ben 100 euro secchi secchi...
Château de Bonnezeaux
Esterno-giorno. Campagna a vigneto e mulini a vento sullo sfondo, autunno inoltrato. L'ignara combricola di assaggiatori oltrepassa il vecchio cancello arrugginito, il parco dell'antica villa o meglio Chateau è da anni libero di crescere indisturbato, lo sconnesso ponticello in pietra ricoperto di foglie secche oltrepassa un fossato asciutto da chissà quanto tempo... nel silenzio si staglia il massiccio edificio bianco abbandonato, qualche finestra manca, qualche altra è in frantumi, l'antico splendore della villa si può solo immaginare, per diversi minuti non appare anima viva, finchè da chissà dove una bambina di pochissimi anni corre da un capanno malmesso alla villa, ci fissa qualche istante, e senza dire niente svanisce... Ecco, se qualcuno vuole proseguire la sceneggiatura di questo film horror-vinicolo vi lascio fare, era per disegnarvi un po' il quadretto in cui ci siamo trovati, ed aggiungerei che se ancora ci fosse stata la nebbia di inizio mattinata probabilmente saremmo scappati... Fortunatamente c'è il sole, ed appare la madre della bimba che ci spiega come raggiungere la cantina. Ed anche qui ci ritroviamo fuori dal tempo, l'edificio sembra quasi abbandonato e persino l'antichissimo torchio è ancora in funzione, perfino manualmente... Nonostante questo i vini sono lucenti e cristallini, sembrano vivere di luce, quella del sole basso ed autunnale, ma che scalda ancora, regalando toni molto agrumati, floreali e salini, tesi ma lievi. Faremo solo assaggi da vasca o barrique, e tra tutti segnalo La Montagne 2020, dal sorso energico di caramella seltz, ed il completo (grazie a maggiore grassezza) e lungo Vieille Vigne 2019. Solo 6 Ha e mezzo, di cui alcuni acquisiti recentemente, e dai quali nasceranno nuovi vini in futuro.
Domaine Eric Morgat
Ci spostiamo quindi qualche chilometro più a nord, attraversiamo la Loira e ci ritroviamo sulle assolate colline di Savennieres, ed il cambiamento rispetto al domaine precedente è drastico... anzi siamo proprio agli antipodi, cantina nuova fiammante, auto elettriche nel cortile, barricaia davvero luccicante completa di filodiffusione di canti gregoriani, igiene e precisione estrema. Ci accoglie il proprietario, fedele specchio del domaine e dei suoi vini, e ci tiene a precisare che solitamente non accetta visite dagli appassionati, ma questo è un periodo lavorativo tranquillo, per cui... 6 ettari, 15mila bottiglie, 3 vini. La super selezione non è disponibile, quindi assaggiamo Litus e Fides 18 e 19, più qualche 2020 da barrique e da uovo di terracotta. Faremo il miglior assaggio in bianco del tour: Savennieres Fides 2018. Elegante e lungo, la purezza dello Chenin unita alla solarità e giusta grassezza di Savennieres. Da segnalare anche l'Anjou Litus 2018, più floreale e fresco, pietra focaia, nerbo e struttura. Vini molto tecnici e alla ricerca della precisione. Come altri produttori ci racconta delle ultime annate colpite da micidiali gelate, e della particolarità estrema della 2019, produzione molto bassa proprio per una gelata primaverile, poi stagione molto calda con uve cariche di alcol ma anche di acidità, per ottenere vini piuttosto unici per la Loira. Prezzi poco amichevoli, ma si sa, la qualità si paga...
(la cantina è di Morgat, la villa è Château des Vaults)
Domaine du Closel
Appena fuori dal centro storico sorge lo Château des Vaults, con annesso parco, laghetto ed oche, sede di questo produttore. Il taglio dell'accoglienza è sicuramente più turistico, 3 vini a scelta a 5€ (poi decurtati dagli acquisti) e volendo fanno anche la visita guidata al parco. Ovviamente scegliamo di assaggiare i tre Savennieres, a salire si parte dal trascurabile base, poi Les Caillardieres 2018 seppur chiuso si fa più pieno e lungo al sorso, mentre il Clos du Papillon 2019 aggiunge sale ed articolazione. La visita è molto veloce e dopo 5 prodttori visitati in giornata siamo ancora ovviamente assetati, per cui su per la collina, direzione Roche aux Moines e Coulee de Serrant in cerca di qualche produttore a cui scassar le balle...
(sempre lo Chateau de Vaults, il resto è Domaine aux Moines)
Domaine aux Moines
Arriviamo in cima alla Roche aux Moines al tramonto, la fortuna vuole che qualcuno riesca ad intercettare nel cortile della villa Tessa Laroche, ci imbuchiamo... La villa, simile nella struttura allo Chateau de Bonnezeaux, qui è completamente ristrutturata, il retrostante giardino alla francese è curatissimo, la luna perfettamente piena si staglia tra gli alberi secolari. Nonostante l'orario Tessa è molto disponibile e simpatica, un personaggio. Solo un vino in assaggio (mi pare ne produca anche altri ma non ho ben capito...) ovvero il vino bandiera del Domaine: Savennieres Roche aux Moines. Il 2018 è teso ed elegante, più completo e lungo il 2019, molto buono, unisce grassezza, sapidità e tensione. Poi ci dice che essendo italiani potremmo essere in grado di capire un vino particolare, ci stappa quindi un Savennieres Roche aux Moines 1998, da poco più di un centinaio di bottiglie che la madre aveva messo da parte, e che ha deciso di rimettere in vendita, subito idrocarburo alla riesling (tartufo dice Tessa), poi frutta esotica, pesca, mela golden, cera d'api e propoli...
Per cena torniamo a Saumur, a Le Gambetta, ex stellato Michelin par di capire, piatti convincenti, diverse pecche sul servizio, carta vini sicuramente non all'altezza...
l'eglise e la torre piccionaia di Fosse-Seche
Château de Fosse-Sèche
Ancora nebbia la mattina successiva, e ci spostiamo in una zona di campagna molto pianeggiante, fino ad arrivare ad un agglomerato costituito da villa e cascinali, con annesso laghetto ed oche, che è oggi lo Château de Fosse-Sèche. In antichità era uno dei più prestigiosi in zona ed a testimoniarlo rimangono una piccola chiesetta ed una diroccata torre piccionaia. La proprietà conta a tutt'oggi comunque ancora 45 ettari di terreni, di cui 15 vitati ed è praticamente un'oasi naturalistica di biodiversità e ci tengono a rimarcarlo più volte durante la visita, anche perchè il progetto è nato parecchi anni fa, da pionieri ed in tempi non sospetti. Per cui si piantano attorno ad ogni vigneto fiori ed erbe, ma anche arbusti e piante ad alto fusto tipiche della zona, nonché casette per uccelli e pipistrelli, ed arnie per le api, un vecchissimo vigneto è in fase di espianto per sostituirlo con vecchie varietà di alberi da frutta. Siamo a metà novembre, il clima comincia già a farsi rigido, le vigne sono ormai totalmente nude, ma si vedono ancora un sacco di fiori... Il terroir è totalmente diverso dalla zona classica di Saumur, tanto che viene già rimarcato dal nome Fosse-Seche=Fossa Sicca, in quanto i terreni privi di tufo (che invece trattiene l'umidità) è ricco di silex e ferro, ed è estremamente drenante ed asciutto. Questo porta ovviamente a caratteri peculiari nei vini e per diverse annate hanno tribulato con le commissioni d'assaggio per l'assegnazione della AOC (saremmo in zona S. Champigny o S. Champigny Puy-Notre-Dame), per cui da un paio di anni si è passati a vin de France. Forse anche per via dell'assenza di legni in vinificazione e maturazione (aggiungo io...), visto che si utilizzano uova in terracotta e "beer tank", ovvero si preferiscono i contenitori in inox orizzontali tipici della produzione della birra, in luogo dei classici verticali da vino, per favorire lo scambio con le fecce fini. Lo stile differente nei vini è netto, lo Chenin Arcane 2020 è fresco di pera verde e mele, delicato al sorso, elegante, ed anche il rosso Eolithe 2019 è fragrante di frutta fresca, leggero al sorso anchesso ma con un bel tannino. Assagiamo anche un altro paio di selezioni e prendiamo sulla fiducia la selezione aziendale reserve du Pigeonnier, vedremo... Per chi dovesse andare in zona in periodi un po' più turistici segnalo che gestiscono in comproprietà con alcuni soci un ristorante, l'Auberge des Isles, in un borgo/castello medievale, che sembrava piuttosto interessante, ma chiuso nei mesi invernali.
Clos de L'Ecotard
Non è stato affatto facile ottenere la visita da questo piccolo domaine di recente fondazione, ma devo dire che non è stato facile ottenere risposte da quasi tutti i produttori interpellati, ma sembra che sia la prassi in Francia da tantissimi piccoli produttori. Qui torniamo a degustare nelle cantine tufacee, anzi in questo caso una grotta preistorica è la cosa che si avvicina di più, insieme al giovane figlio del produttore. Partiamo con la solare L'enroulee 2019, il terreno misto di tufo e sabbia dona uno chenin già equilibrato e con qualche rotondità, ottimo già da bere oggi, il fuoriclasse è però per me il Clos del'Ecotard 2019, che ha energia e buona grassezza, preciso e cristallino nel cedro e limoncella, da attendere qualche anno, darà buone soddisfazioni. Nella versione 2018 si fa leggermente più ricco e salato al sorso, con qualche tono fumé al naso. Les Pentes 2018, selezione della parte più alta del Clos con pochissima terra e subito tufo ha un naso più maturo e ricalca il precedente al sorso. I tre ettari di solo chenin che costituiscono il Domaine sono diventati sette con l'ultima vendemmia, ed in futuro troveremo anche vini rossi, e forse anche uno chenin macerato, piacevole al sorso, con un tannino marcato, ma che non si discosta molto dai classici sentori della tipologia al naso (comunque pulito, eh...). Il ragazzo ci prende in simpatia e da un angolo della grotta annerita dalle muffe tira fuori una mezzina senza etichetta, è per "uso personale", nel 1995 il padre ha acquistato un po' di uve botritizzate: di integrità assoluta, golosissimo ed oleoso, canfora e caramello. E salta fuori anche una versione dolce del Clos de L'Ecotard 2020, da appassimento e botrytis... E' ormai ora di pranzo, rispetto alle umide nebbie esterne la grotta ha un bel tepore (spesso le famiglie più povere del posto si trasferivano in queste cantine/stalle a svernare), e quindi ricambiamo l'accoglienza con pane e salame nostrano, e... un Barolo. Prima di andarcene ci tiene molto a farci vedere il vigneto ma soprattutto il cavallo: si, si è tornati a lavorare la vigna "à l'ancienne", ed il giorno seguente andrà nella zona delle Ardenne per prenderne un secondo, visto l'aumento del parco vigneti, sempre di una razza da tiro adatta al lavoro. Scopriamo così anche che il vigneto "era" un Clos, il muro è andato distrutto in passato ma il nome è rimasto.
(sopra Yvonne, sotto Ecotard, il Clos è il vigneto dietro al cavallo)
Château Yvonne
Ci spostiamo quindi nella zona più classica di Saumur, qui a poche centinaia di metri dalla Loira, terminata la piana alluvionale del fiume si è creato praticamente un enorme "gradino" tufaceo, scavando alla base di questo gradino si sono create le lunghissime cantine e cunicoli (create anche in epoche remote, si narra che alcuni produttori non sappiano neppure dove finiscano per la pericolosità di percorrerle interamente), e con le pietre ottenute si sono costruite le ville e Chateau appena al di fuori delle stesse, oppure vendute e trasportate lungo le vie d'acqua, mentre al di sopra di questo "gradino" si sono piantate le vigne. Qui l'unico Chateau è nel nome del domaine, e l'ingresso alle cantine è praticamente un antro/grotta che è stato chiuso con una parete finestrata, all'interno un camino e piante rampicanti, un luogo dal fascino incredibile. Si degusta lì, attorno ad uno sgangherato tavolo arrugginito, in un clima umido-tropicale ottimo sicuramente per qualche pianta esotica. Ottimo la selezione di Saumur blanc Le Gory 2019, da un vigneto più sassoso e caldo, il sorso è infatti ricco ma equilibrato, per i rossi se il base La Folie 2020 è una macedonia pepata da pane e salame, il rouge 2019 si fa più serio al sorso, col tannino che graffia ancora, per salire ancora con la selezione Le Beaumeray 2018, da vecchie vigne su suolo sabbioso e tufaceo, che guadagna volume ed eleganza.
Domaine Charles Joguet
Ci spostiamo di qualche chilometro a Chinon, ed ovviamente i terreni cambiano, ma anche il fiume sul quale affacciano i vigneti, ovvero un affluente della Loira, Vienne. Anche questo fa parte degli ex-domaine anche se ha mantenuto il nome dello storico proprietario, molto stimato dai produttori della zona è stato un pioniere della separazione delle varie parcelle e lieu-dit, quando nessuno in zona ci credeva, e sembra che la qualità sia stata mantenuta dai nuovi proprietari. Anche qui gran parte dei vigneti non guardano a sud, ad eccezione del vigneto Chene Vert, la produzione totale supera le 100mila bottiglie suddivise in moltissimi cru. Si sente il cambiamento di terroir già con il base Silene 2018, dal naso intenso e floreale, leggero cosmetico, sorso goloso e più largo dei Saumur fin qui assaggiati. Les Petites Roches 2017 come suggerisce il nome arriva da terreni più duri per un vino più serio e verticale. Molto buono Les Charmes 2017, suadente come il nome, un best-buy direi, e segnalo infine il miglior rosso fin qui assaggiato: Clos de la Dioterie 2017, dal frutto scuro e profondo, e dal sorso completo ed equilibrato, bel tannino.
Ceniamo in pieno centro a Saumur, chez Le Boeuf Noisette, locale che definirei simpatico e caratteristico, come i piatti.
Rostaing
Per non farci mancare proprio niente sulla via del ritorno leggera deviazione in Cote-Rotie... Gli assaggi sono ovviamente tutti da segnalare, e "quando un cabernet franc con la pistola incontra una syrah col fucile..." beh, sapete già come va a finire... Si parte con Ampodium 2019 dalla solita fragranza e golosità, ottima riuscita mi sembra, La Vialliere 2019 rivela come sempre il suo lato più rustico, ma ha energia, carnosità e profondità, dal tannino serrato. La Cote Blonde 2018 è quella col Winchester che sterminerà tutti i cabernet franc dei giorni precedenti, intensa nel pepe e garofano, elegante al sorso anche se il tannino scalpita ancora. Renè è sempre in forma, e come ogni volta rimarca che questo è il suo cru preferito... La Landonne 2019 è ancora in divenire, qualche leggera tostatura ancora da riassorbire, più serrato e serio al sorso, meno solare seppur con una bella florealità. Ci tiene a farci assaggiare Ampodium 2013, per sentire com'è una delle ultime "annate classiche" in zona, col riscaldamento climatico nullasarà più come prima dice... Ha una bella spezia orientale, floreale e pepe verde, sorso fresco col tannino che comincia a smussarsi. Sempre ottimo anche il Condrieu La Bonnette 2020 con l'inconfondibile finocchietto, uva spina, corpo e rotondità senza esagerare.