steeeve6 ha scritto:È stato tutto bellissimo fino a quando i bellicosissimi agricoltori hanno deciso di barattare la loro rivolta (a questo punto giustificata/giustificabile??) con la sfilata al Colosseo di 4 trattori malmessi
Zampaflex ha ragione da un punto di vista analitico/economico, personalmente però ritengo che se, e dico se, e risottolineo se, questi agricoltori hanno DAVVERO i problemi di cui parlano, l azione politica sia necessaria non da un punto di vista puramente assistenziale, ma di sensibilizzazione dei consumatori verso scelte che portino il vil denaro ai produttori e non si vituperati mercanti: mi spiego, con un territorio come quello italiano in cui tanti prodotti di eccellenza sono prodotti in territori "spigolosi", sarei curioso di sapere quali potrebbero essere le azioni da fare per essere più efficienti che potrebbero contrastare gli effetti di un consumatore inconsapevole che vive di comodità e prezzo al ribasso .
Se il consumatore non è in grado di capire che, rinunciando alla comodità di prenderlo al supermercato insieme al latte e alla pizza surgelata ,prendendo 1kg di pomodori direttamente dal produttore può sostenere direttamente lo stesso produttore(non figure mitologiche)pagando anche gli stessi pomodori il 20 % in meno, allora la politica può (deve) intervenire con azioni per sensibilizzare ed educare il consumatore. Ed è questo che sarebbe bello succedesse, ma qui siamo nella fase "sapete quali sono i due libri più corti del mondo? Quello degli eroi di guerra italiani e quello dei comici tedeschi"
Se questo governo avesse reali capacità politiche, cioé di controllo dei fenomeni e lungimiranza, farebbe come in Francia e Spagna e promulgherebbe una legge in base alla quale i compratori, che siano grossisti o GD, non possano mai offrire un prezzo in acquisto inferiore ai costi di produzione. Facciamo base. Vogliamo essere magnanimi? Mettiamo pure un markup dell'X%. E lasciamo che poi siano le dinamiche della libera impresa e del mercato a regolare quali produttori sono capaci e quali no.
Invece è una melassa di piccoli interessi di bottega e losche mancette elettoralistiche, e tutto quello che sa fare è rimettere gli sconti fiscali che aveva appena tolto.
Ieri intervista controcorrente ad un altro agricoltore:
Antonio Onorati, dell’Associazione Rurale Italiana (Ari), oggi non sarà in piazza a Roma tra i “trattori”. E non soltanto perché, spiega, «per noi è difficile lasciare stalle e lavori nei campi, non possiamo permetterci economicamente neanche un giorno o due di assenza». Ma anche perché le rivendicazioni sono profondamente diverse: i contadini delle organizzazioni che, come Ari, si riconoscono nel Coordinamento Europeo Via Campesina, sono contrari all’uso dei pesticidi e all’adozione degli Ngt. È per questo che martedì sono andati invece a manifestare a Strasburgo, per chiedere che il Parlamento rigettasse la proposta di deregolazione di quelli che considerano come i nuovi Ogm. E per chiedere una riforma della Politica Agricola Europea (Pac) che garantisca una giusta remunerazione del lavoro agricolo, e un accesso alla terra più equo.
Cosa non funziona nella Pac?
«Noi chiediamo di fermare la corsa all’ingrandimento continuo delle aziende: è vero che le economie di scala possono essere positive, ma se si incoraggiano e si finanziano solo i grandi, i giovani non possono entrare nel mercato. La Pac dovrebbe sostenere maggiormente gli agricoltori che non vogliono ingrandirsi».
I contributi non sono distribuiti in modo equo, per ettaro?
«Il 52,85% degli agricoltori Ue prende tra 0 e 1250 euro. Lo 0,01% delle aziende (sono quelle di grandi dimensioni) riceve il 12,25% dei fondi, oltre 500 mila euro a testa. Le risorse andrebbero distribuite invece anche tenendo conto del lavoro e del modello sostenibile». (
mio pensiero: dovremmo calcolare i $$$ per ettaro, semmai)
La spinta verso l’ingrandimento delle aziende agricole è motivata dal convincimento che le piccole siano poco sostenibili economicamente.
«Noi vorremmo invece che aumentasse il numero delle aziende contadine, e infatti rivendichiamo il diritto alla terra, che adesso ha costi esorbitanti, che pochi possono permettersi. Anche le aste Ismea sono troppo costose per i piccoli produttori. Ma non è vero che grande significa sostenibile, è il contrario. In Europa ci sono due agricolture: una piccola, che vive essenzialmente di lavoro, e che per sopravvivere ha dovuto affrontare un continuo ammodernamento,
puntando sul biologico e sul dialogo città-campagna, per acquisire nuovi clienti, perché se entra nella grande distribuzione viene massacrata. E un pugno di grandi e grandissime aziende che praticano l’agricoltura industriale e sono principalmente
orientate all’esportazione, dipendono dai prezzi fissati dalle Borse di Parigi e di Chicago e quindi per competere hanno bisogno dei pesticidi, della chimica, degli Ogm. E del pieno utilizzo dei terreni: noi non siamo contro la messa a riposo
del 4% dei terreni, anzi è una regola antica».
Anche voi, però, come i grandi, chiedete di fermare gli accordi internazionali di libero scambio.
«Noi non stiamo difendendo l’autarchia, ma riteniamo che ogni Paese debba avere la possibilità di scegliere cosa produrre, e cosa mangiare, con sistemi di etichettatura che funzionino. Aprire in modo incondizionato il mercato europeo al commercio globale significa legarci mani e piedi a meccanismi che non siamo in grado di controllare».
Non è una forma di protezionismo?
«Dare priorità al mercato interno invece che all’esportazione, e priorità alla produzione agroecologica, assicurando quote di
produzione governate e redistribuite equamente fra i Paesi e le regioni d’Europa, è essenziale per garantire prezzi stabili per gli agricoltori, assicurando al contempo anche prezzi accessibili per il pubblico. Chiediamo anche una legge sul modello di quella spagnola, che vieti di imporre agli agricoltori prezzi inferiori ai costi di produzione»