alemusci ha scritto:l'oste ha scritto:BarbarEdo ha scritto:Un po' OT, ieri mattina ho parlato con il quarto produttore di langa che mi dice la stessa cosa: il Monfortino, grandissimo vino, è un miracolo di tecnica viticola ed enologica che sopperiscono a un terreno di medio-bassa vocazione
Fosse anche verosimile credo che le vigne vecchie (e il Monfortino ne contiene) sono importanti quanto suolo ed esposizione, ma soprattutto la tecnica viticola ed enologica è uno dei valori del famoso
terroir altrimenti non si spiegherebbero alcuni fenomeni curiosi come la minor fama nel bicchiere de La Grand Rue, striscia di terreno incastrata tra La Tache da un lato e La Romanèe e Romanèe Conti dall'altro. Oppure l'unicitá di alcuni vini in denominazioni/vitigni poco prodighi di fenomeni, vedi Valentini su tutti.
Un po’ ot ma un po’ anche no, cito da: Champagne, l’immaginario e il reale, di Samuel cogliati.
“Nei secoli scorsi si discorreva meno spesso e con minore insistenza della natura delle terre e probabilmente non solo perché si disponesse di minori conoscenze geologiche. È interessante notare che nell’ottocento la nozione di cru, così cara alla viticoltura francese, fosse costituita dalla somma delle peculiarità naturali del luogo e dalla competenza dei vignaioli-vinificatori. Tuttavia con il tempo pur badando bene a non negare l’importanza del savoir-faire, il discorso propagandistico dei produttori ha teso ad attribuire sempre di più le cause primarie della bontà del vino ai dati geografici: suolo, sottosuolo, clima, orografia etc. Perché? Perché questi elementi fissi non si possono esportare e non si possono imitare; sono cioè unici e immanenti è in quanto tali costituiscono una difesa naturale alla presunta inarrivabile superiorità qualitativa del territorio che li possiede. Ecco dunque un invidiabile argomento di marketing.”
Da totale ignorante, mi permetto di dissentire completamente. A occhio e croce, non credo che Aubert de Villaine potrebbe tirare fuori un Romanée-Conti da una vigna sui colli imolesi.
La mano del produttore sicuramente è determinante, ma spacciare l’importanza del terroir per mero “discorso propagandistico” o “argomento di marketing”, mi pare una esagerazione (per usare un eufemismo). È, tra l’altro, l’argomento preferito di Michel Rolland, che, alla prova del bicchiere, lascia il tempo che trova.
Piuttosto, col passare dei secoli, è successo che i terreni migliori siano finiti in gran parte ai produttori migliori, nel frattempo diventati (giustamente) sempre più ricchi e in grado di fare investimenti importanti. L’esempio precedente de La Grande Rue è proprio l’eccezione che conferma la regola. Ho assaggiato di recente la 2008: è un grande vino, senza ombra di dubbio (e questo si deve al terroir), ma gli manca “il tocco di genio” di La Tâche, con cui confina (non mi esprimo su Romanée-Conti, mai bevuto, purtroppo). Ed è quel “tocco di genio” la componente fondamentale del produttore. Credo che, considerato il potenziale di quel Cru, le alternative a medio/lungo termine possono essere solo due: o Lamarche migliorerà sensibilmente il suo vino (cosa che comunque sta già avvenendo da diversi anni), oppure venderà il terreno a prezzi spaventosi a chi sarà in grado di farlo (vedi DRC).