Messaggioda Aramis » 12 ott 2015 23:15
Ciao a tutti, grazie a Marco “Vinogodi” del bel ricordo e delle parole da amico.
Due parole anche da me su ciascuno dei vini per quel che ci ho potuto capire.E un ulteriore abbraccio a Ezio, che qui è Mofise e che è una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto e non solo nel mondo del vino.
Posto queste righe qui e sul mio profilo di facebook, così da assecondare un paio di richieste di cari amici fattemi lì. Vi abbraccio forte.
Krug Collection 1989 Magnum
Non facile da imbroccare per una longilineità inconsueta nel millesimo; molto ben articolato, prevedibilmente “noisetté” e briochée”, e quindi non la migliore cosa di Krug che abbia sentito ultimamente; il formato della bottiglia potrebbe essere stato il suo asso nella manica – leggasi: non credo che comprerei questo vino in bottiglia di formato normale.
Krug Clos Du Mesnil 1985
Epocale Champagne dal naso lisergico di zenzero, zafferano e droghe leggere, e dalla bocca veramente clamorosa per compostezza e succo; un vertice, oltretutto capace di persistenza sconcertante sia per qualità che per lunghezza. Non saprei come non dare 100/100, e difatti glieli affibbio senza pensarci troppo.
Cristal 1985
Tappo subdolo che lo secca come il tùtero di una pannocchia; restano la carbonica, finissima, e la texture gustativa, onestamente impeccabile. Data la compromissione della parte aromatica, direi che prende dimolte sveglie dal Clos du Mesnil; tuttavia, qualora il tappo fosse stato a posto, penso che avrebbe preso dimolte sveglie lo stesso dal Clos du Mesnil.
Ramonet Montrachet Grand Cru 2004
Beccato alla cieca in cooperazione con Alexer e Giulia Colbert (io” Borgogna”, lei “2004”, io: “Chevalier”; Alexer: ”Batard”; ci mettiamo d’accordo per la vigna in mezzo alle due e io sparo Ramonet a occhi chiusi e culo gnudo: strike). Grande e riconoscibile, altezzoso ma umano (oliva verde, resine, pesca, gesso, ginger), peccato no averlo seguito nel bicchiere perché penso che avrebbe sparato altri dardi anche più acuminati.
Verticale trebbiano Monteraponi: 14/13/12/11
Il 14 è bellissimo, filigranato e sa “toccare” la bocca; il 13 è tanta roba ma ha la faccia di uno svegliato alle 4 di notte dall’allarme antincendio; il 12 è diluito e senza centro; l’11 è artigianale, emotivo e non troppo preciso, ma ha un grande cuore e chiude bene, con più dettaglio di quanto prevedibile.
Monteraponi Chianti Classico Riserva Il Campitello 2012
Buono e classico, si inserisce nel novero delle bottiglie in eleganza sfornate dell’azienda in questi anni. Da bere nel medio periodo con notevole soddisfazione.
Monteraponi Chianti Classico Riserva Baron'ugo 2011
Strepitosa sintesi raddese e grande Chianti Classico in assoluto; da valutare alla cieca contro Brunello di Montalcino di sezioni fresche (Sesta, Canalicchi, versante nord, Altesino, Montosoli); potrebbe maltrattarne di blasonati.
Monteraponi Baron'ugo 2012
IGT Toscana e giustamente, visto il netto divario stilistico: ha densità e profumi da Etna Rosso, per capirci, o da Borgogna; molto fine e salino, meno potente dell’11. Dividerà.
Rizzi Barbaresco Rizzi 2012
Un tipico 2012 ma c’è da sottolineare che i cru non saranno prodotti e dunque c’è tutto il meglio; che come sempre ha classica finezza da vendere, e anche il contributo tannico di vigne come il Boito e il Pajorè paiono acquietate nel non indimenticabile millesimo; quindi è tutto aroma-Nebbiolo, il che non è poco.
Rizzi Barbaresco Nervo 2013
Annata considerata eccezionale da qualunque produttore incontriate, e cru che personalmente considero largamente il migliore dell’azienda, ma esito da valutare con cautela per via della nota alcolica che sporca il finale dopo esibizione di fiabesca bellezza.
Rizzi Barbaresco Pajorè 2008
Very badly corked.
Domaine Louis Remy Chambertin Grand Cru 2008
Mare, alici, capperi e lampone; se fosse una ricetta farebbe ribrezzo, ma invece in uno Chambertin portano ad una individuazione non difficile (io ho detto “Griotte”, ad esempio); è un grande vino, la Borgogna vecchio stile sintetizzata in 0,75 litri di pura goduria; molto atipico come 2008, ma come ho più volte detto se c’è una vigna in cui comprare un 2008 alla cieca in Cote de Nuits quella è lo Chambertin (Rousseau e Camille Giroud/David Croix hanno sfornato due capolavori di liturgica perfezione, per esempio).
Conterno Barolo Riserva Monfortino 2005
Non m’è mai garbato troppo, né lo ha fatto qui; è un bel vino, ma distante, incattivito, impreciso come Monfortino, e non vale il suo prezzo in alcuna maniera a mio avviso; conferma come l’ipotesi che il 2005 sia nel Barolo superiore o pari alla 2004 sia semplicemente una fesseria.
Meo-Camuzet Clos Vougeot Grand Cru 2005
Assai atipico, volatile, per me impossibile da ascrivere alla vigna nonostante Méo abbia una delle parcelle più invidiate. Alla mia domanda “Ma chi te l’ha venduto?” l’acquirente, un fraterno amico, mi guarda e mi fa “tu”. Credo sia stata l’ultima buona idea della mia vita.
Rinaldi Barolo Brunate Le Coste 1999
Primo vino rosso della mia vita completamente ossidato sia al naso sia in bocca, al limite dell’appiccicoso, sfoggiando al contempo un colore non dico da mosto di Dolcetto, ma comunque perfetto e giovanile. Un grande boh.
Poggio di Sotto Brunello Riserva 1999
Assai più Poggio di Sotto che Brunello di Montalcino.
Chateau Petrus 1996
Straordinario naso di folle integrità, disegnato dall’acidità fremente che lo colora, diciamo così, sinestesicamente di arancione brillante; di quel colore dà l’idea nelle note di agrumi bellissime che ne inseguono di speziate e floreali, tra sbuffi di gesso e lievi toni di vegetale secco; stupenda seta in bocca, vino di qualità siderale e di prezzo conseguente. Uno pensa “sfortunato chi gli capita a fianco”.
Chateau Leoville Las Cases 1996
Gli capita a fianco una delle più avvelenate ire di Dio che mi ricordi di avere assaggiato, che sul mio cartellino vince la tenzone; naso e bocca irraccontabili, qualcosa di veramente metaforico, vino in trance mistica, di tale equilibrio da scatenare la risata nervosa. Non vale per me meno di 98/100.
Mascarello Barolo Riserva Monoprivato Cà D' Morissio 1996
Per una volta confermo dopo dieci anni quanto scrissi all’uscita d’acchito: è un indiscutibile monumento al Nebbiolo, e ha valore artistico, ma è un monumento funebre, nel senso che del Nebbiolo esalta i caratteri cinerari, ossianici, romantici. Comunque è difficile che non piaccia.
Gros Fere Richebourg Grand Cru 1996
Com’erano i vini di Bernard Gros prima del cambio di stile? Molto, molto buoni; arriviamo abbastanza facilmente al cru, il che va a merito del vino, potente e squillante, negli anni Dieci si sarebbe detto “ardito”; le sue note di evoluzione vanno verso una tonalità marittima molto classica per la Borgogna di qualità.
Biondi Santi brunello Riserva 1993
Not in my name, bevuto molte volte ma non ho feeling con questo vino tanto sanguigno quanto poco coeso; mancano proprio le caratteristiche che hanno fatto la leggenda di questa etichetta (parlo della “Riserva”), cioè la mineralità, la definizione, la qualità acida, la persistenza, l’ordine mondrianesco.
Domaine de la Romanee-Conti Grands Echezeaux Grand Cru 1993
Tappo. Non si salvano che 30-32 santi su 365.
Quintarelli Amarone 1993
Adorabile gourmandise dal profumo candito, passito e glassato e dalla bocca come un mezzo corazzato della Wehrmacht, che come quest’ultimo incede e come tale finisce, nello scintillare del classico fuoco d’artificio che mi ricorda ogni volta il “vento che passa coi suoi diamanti estremi” di Paul Valéry. Che ho detto? Boh. Perdonatemela, dai. Era magnifico.
Montevertine Le Pergole Torte 1993
Preso in pieno alla circa da non ricordo chi ma in un attimo. Annata come noto minore di uno dei grandi rossi europei, qui sinceramente annichilito dalla persistenza del mostro quintarelliano, enfatizzata oltretutto dagli zuccheri.
Soldera Brunello Riserva 1991
Un bel vino di pura finezza, sensuale come al solito; il corpo leggero suggerisce gestualità femminili; è in tale equilibrio che non mi stupirei tenesse la nota altri dieci anni.
Gaja Barolo Sperss 1991
Stupenda e impeccabile evocazione langarola e vino tonico, coordinato, senza banalità legnose e senza a dire il vero un tannino così aggressivo come letteratura sulle vigne di provenienza (Marenca e Rivette, vicinissime alla Rionda) suggerirebbe. E’ molto lungo ed elegante, ed alimenta la convinzione che i vini aziendali di questo periodo vadano rivalutati anche dagli intransigenti aficionados del Barolo classico, quorum ego.
Chateau Lafite Rothschild 1989
Lo becco alla cieca per via del suo splendido insieme di equilibrio e disponibilità; un vero classico, poco o nulla vegetale, molto minerale invece nell’allungo conclusivo che senza problemi annulla il ricordo gustativo di quanto bevuto nell’immediata precedenza. Un grandissimo vino.
Penfolds Grange 1989
Netto tappo, ahinoi. Peccato, forse avrebbe potuto opporre qualcosa. Non molto, ma qualcosa.
Valentini Montepulciano 1985
Un punto di discussione nel naso oggettivamente di complessità buona ma non sconvolgente (caffè, pralina, cardamomo, menta piperita e sigaro) e bocca invece davvero splendida, molto in forma, dolcissima nel tannino, lunga nel finale di carbone e cacao e senza deviazioni ossidative di sorta dopo trent’anni precisi.
Vega Sicilia "Unico" 1985
A mio parere perde la sfida con Valentini nonostante un naso meno saturo e più volatile, con qualche nota di ginepro e rosmarino a vivacizzarlo; ha tuttavia meno presenza in bocca e la chiusura è meno coinvolgente. Un bell’Unico comunque (92/100), bevuto da me solo un’altra volta in questo millesimo, da bottiglia che ricordo di livello superiore rispetto a questa.
Chateau Haut Brion 1966
Terza bottiglia in un anno dello stesso vino e finalmente una perfetta; ha un naso fantastico, evoluto in maniera superba ma che si racconta volentieri a dispetto della fama cazzimmosa e ritrosa del millesimo; qui le classiche note di tabacco Virginia e sabbia calda dei vecchi Haut-Brion, ma anche le spezie, un tocco erbaceo, e tanta tanta forza all’assaggio, con il tanninone di Haut Brion a stringere quel che l’acidità vorrebbe allargare. Bella esperienza.
Chateau Figeac 1966
“Dopo il 15° anno non esistono grandi vini ma grandi bottiglie”; proprio vero: che potessi mai preferire Figeac a Haut-Brion a pari annata non me lo sarei mai aspettato. Tant’è: la bottiglia vuota è in cucina da me come ricordo della serata. Liquido mostruoso di paradossale vigore sia al naso sia al sorso dopo la constatazione che è ancora di un colore così giovanile da non sembrare vero. Chiuso come un pugno nello strepitoso naso di peonie e prugne, graduale nella progrssione gustativa, quasi pizzica di sapidità in fondo, fa chiudere gli occhi e quasi commuovere quando alla fine, dopo cinquant’anni passati dentro una bottiglia di vetro e con soli dieci minuti a disposizione, apre e spande un aroma lindo, celestiale, come di bucato fresco. Io gli occhi li chiudo, e cerco di ricordare, per poi raccontarlo, come ho appena fatto.
"L’appellation d’origine constitue un patrimoine collectif, et ne peut donc pas être la propriété d’opérateurs économiques à titre privatif, contrairement à une marque, par exemple." (INAO, Institut National des Appellations d'Origine)