Diario economico

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zampaflex
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 02 feb 2024 10:24

bobbisolo ha scritto:continuiamo a finanziare la scellerata guerra in ucraina...

ciò che Assange ci diceva a proposito della guerra in afghanistan si applica pari pari alla guerra in ucraina.
Il punto non è vincere la guerra, cosa impossibile, il punto è trasferire i soldi dei contribuenti americani e europei all'industria delle armi e alle loro marionette che presiedono le istituzioni... democratiche :lol: :lol: :lol:

fallimento, estinzione, oblio... fate presto per favore


Noi la pensiamo in maniera opposta a te, i finanziamenti all'Ucraina hanno come tema la difesa della nostra democrazia contro le dittature che si stanno diffondendo sul pianeta, ma non è questo thread il luogo per parlarne. Se hai altro da dire, ti chiedo per cortesia di farlo nel thread apposito.
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bobbisolo
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Re: Diario economico

Messaggioda bobbisolo » 02 feb 2024 11:16

zampaflex ha scritto:
bobbisolo ha scritto:continuiamo a finanziare la scellerata guerra in ucraina...

ciò che Assange ci diceva a proposito della guerra in afghanistan si applica pari pari alla guerra in ucraina.
Il punto non è vincere la guerra, cosa impossibile, il punto è trasferire i soldi dei contribuenti americani e europei all'industria delle armi e alle loro marionette che presiedono le istituzioni... democratiche :lol: :lol: :lol:

fallimento, estinzione, oblio... fate presto per favore


Noi la pensiamo in maniera opposta a te, i finanziamenti all'Ucraina hanno come tema la difesa della nostra democrazia contro le dittature che si stanno diffondendo sul pianeta, ma non è questo thread il luogo per parlarne. Se hai altro da dire, ti chiedo per cortesia di farlo nel thread apposito.


un pacchetto da 50 mld di euro e una considerazione su dove finiscono i soldi dei contribuenti mi sembra che possano benissimo stare in diario economico...
semmai è la tua considerazione sulla pretesa di difendere la democrazia che potrebbe stare in un altro luogo così come i commenti di tex willere
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Re: Diario economico

Messaggioda Tex Willer » 02 feb 2024 14:20

tenente Drogo ha scritto:
Tex Willer ha scritto:
tenente Drogo ha scritto:
bobbisolo ha scritto:
tenente Drogo ha scritto:"Brics"


è diventata una parolaccia?



pensa un po' che scemo Milei, preferisce le democrazie occidentali alla compagnia di Cina, Russia, iran, Arabia Saudita

Non bisogna rispondere per forza a tutti.


e vabbè: domandare è lecito, rispondere è cortesia


bon amusement :wink:
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zampaflex
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 05 feb 2024 23:39

Ecco che arriva Gabanelli con la solita approfondita indagine, sulle zone 30.

In Italia il 73% degli incidenti stradali avviene in città. Ed ecco perché ridurre la velocità da 50 km all’ora a 30 può salvare vite: gli studi effettuati dimostrano che in uno scontro frontale i nuovi limiti ridurrebbero la mortalità dal 90% allo 0,5%. Ogni anno i morti sulle strade sono oltre 3 mila, i feriti gravi sempre oltre i 15 mila, e fra loro ci sono quasi 700 giovani con lesioni permanenti al midollo. La prima città europea a introdurre i 30 all’ora in alcune zone del centro è stata Londra.
Bologna è la prima grande città italiana a introdurre il limite dei 30 chilometri orari su una vasta zona della città, esclusi i viali e le strade a grande scorrimento.
Il limite in realtà c’è da 6 mesi, però dal 16 gennaio il sindaco ha deciso di farlo rispettare.
I vigili dotati di telelaser hanno fatto le prime multe e il caso è diventato politico.
Entriamo nel merito con gli ultimi dati Istat sul 2022: in Italia gli incidenti stradali hanno causato 223.475 feriti e 3.159 morti. I numeri riferiti agli anni precedenti dicono che i feriti gravi sono sempre oltre i 15 mila. E fra loro ci sono quasi 700 giovani con lesioni permanenti al midollo. Il 73% degli incidenti avviene sulle strade urbane. Tanti, non solo da noi, ma ovunque nel mondo il maggior numero di incidenti e vittime avviene proprio nei centri urbani. Per ridurli in Europa i sindaci hanno cominciato a introdurre i limiti a 30 km orari già dagli anni Novanta. La prima è stata Londra in alcune zone del centro nel
1991; oggi si va a 20 miglia (32 km orari) su 140 chilometri di strade. Nel 1992 Graz e Zurigo, nel 2004 Helsinki (si va a 30 sull’intera rete stradale della capitale finlandese). Negli ultimi cinque anni si sono aggiunte altre 34 grandi città europee, su aree molto vaste: da Barcellona, a Madrid, Parigi, Bruxelles, Berlino, Monaco, ecc.. Con quali risultati? Di quanto calano le vittime?
Lo studio pubblicato degli esperti della London School of Hygiene and Tropical Medicine — pubblicato sul British Medical Journal — ha valutato le conseguenze dell’introduzione delle zone 20 miglia, comparando i risultati su un arco temporale di vent’anni (dal 1986 al 2006) tra le vie con il limite di velocità e quelle adiacenti a 30 miglia (48 km orari).
L’introduzione delle 20 miglia orarie viene associata a una riduzione del 41,9% delle vittime della strada. La riduzione percentuale, scrivono gli autori, «è stata maggiore nei bambini più piccoli e per le vittime o feriti gravi rispetto ai feriti lievi». Sotto i 15 anni c’è un dimezzamento netto di morti e feriti gravi. Gli stessi esperti hanno confrontato anche le categorie: tra i pedoni, i morti e i feriti gravi sono calati del 34,8% nelle zone 20 miglia, mentre nelle vie adiacenti sono saliti
del 2,1%. Tra i ciclisti il calo delle vittime è del 37,6% nelle strade 20 miglia, mentre in quelle a 30 miglia salgono di oltre il 2%. Il numero dei morti e dei feriti gravi cala anche di più tra chi va in moto o in scooter: meno 39,1% contro un più 3,2%. E si riduce drasticamente tra gli occupanti d’auto: meno 61,8% contro meno 24,4% nelle vie limitrofe.
Si legge nello studio britannico: «Utilizzando le stime più prudenti di riduzione del rischio basate sul 2000-2006, stimiamo che le zone a 20 miglia orarie prevengano ogni anno 203 vittime, di cui 27 sarebbero morti o feriti gravemente e 51 sarebbero pedoni».
Altri 9 studi analizzando i dati fino al 2019 indicano tutti una diminuzione degli incidenti, dei feriti gravi e morti.

Il costo sociale.
Ogni incidente ha un impatto significativo. I dati del dipartimento dei Trasporti del Regno Unito — relativi al 2016 — mostrano che un incidente stradale mortale «costa» 2,5 milioni di euro, uno grave circa 300 mila euro, uno lieve oltre 30 mila. Per una media, a incidente, di circa 103 mila euro. Calcolando che quell’anno a Londra ci sono stati 30.270 incidenti, la somma totale in euro fa 3,12 miliardi. Il costo sociale degli incidenti stradali lo stima anche l’Istat: nel 2022 su tutto il Paese, e inclusi quelli che si sono verificati nelle aree extraurbane, è stato di 17,9 miliardi di euro, pari allo 0,94% del Prodotto interno lordo di quell’anno. Una cifra enorme.

Impatto veicolo-pedone.
Un’analisi molto dettagliata sull’impatto veicolo-pedone è stata realizzata dall’ing. Salvatore
Golfo dell’Università di Palermo, che ha studiato le conseguenze dopo lo scontro con un veicolo che procede a velocità differenti — 20, 30, 40 e 50 chilometri orari — e con un punto di impatto frontale o laterale. Alla fine ne ha calcolato — tra le altre cose — anche l’«Hic» (Head injury criterion), cioè l’indicatore che misura la probabilità di trauma cranico derivante da un impatto. Tradotto: rischio trauma cranico grave del 9% nell’impatto frontale a 30 km orari in frenata. Rischio che sale al 30,5% se l’impatto avviene a 50 orari. A velocità costante si passa dal 9,5% al 36%. Se si va a vedere il tasso di letalità, nei
diversi test di laboratorio condotti dall’ing. Golfo si arriva al 50% di mortalità se l’auto colpisce il pedone lateralmente a 50 chilometri orari, ma va dallo zero al 5% se il veicolo procede a 30 chilometri orari. Probabilità che non cambia in caso di impatto frontale a velocità costante, mentre sale al 90% di mortalità se lo stesso mezzo viaggia a 50 chilometri orari. L’autore spiega poi che anche il tipo di mezzo (berlina, Suv o autobus) ha il suo peso nelle conseguenze sui pedoni investiti.

Impatto ambientale
Le auto che vanno più piano inquinano di più o di meno? La letteratura scientifica non è ancora molto vasta sul tema, ma al momento sembra che l’introduzione delle zone 30 abbia effetti positivi. Uno studio ha effettuato delle simulazioni al computer e dei test reali su strada — a Berlino — e l’esito è che la riduzione della velocità da 50 a 30 chilometri orari taglia del 40% le emissioni di NOx (ossidi di azoto) e del 10% di PMx (polveri sottili). Il Journal of Transport & Health nel 2022 scrive che una guida a 20 miglia orari comporta una riduzione del 33% di accelerazione e frenata e quindi una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto. Più in generale porta un beneficio ambientale perché c’è un minor consumo di carburante del 12%. Un’altra ricerca, fatta utilizzando il comportamento di tre autovetture differenti, mostra risultati meno netti nelle due città-laboratorio: Mol, in Belgio (32.474 abitanti) e Barcellona (4,2 milioni nell’intera area). Queste le conclusioni: «È improbabile che l’imposizione di limiti di velocità severi nelle aree urbane abbia un’influenza significativa sulle emissioni di ossidi di azoto e anidride carbonica ». Altri studi sostengono che gli effetti positivi sono difficili da calcolare con esattezza
perché dipendono dal tipo di guida, di automobile e di strada.

La direttiva Salvini
I dati sulla sicurezza dovrebbero essere noti al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, visto che il ministro Salvini aveva
promosso l’iniziativa di abbassare il limite di velocità finanziando con 13 milioni una legge entrata in vigore a febbraio 2023. Il 24 gennaio 2024 cambia idea ed emette una direttiva di 7 pagine la cui sostanza è: mettere un limite sotto i 50 km orari generalizzato può risultare anche pericoloso. Il limite, come mostra la mappa della città, non è generalizzato, ma la questione diventa politica, e i sindaci si dividono fra favorevoli e contrari.
Il Comune di Padova ha annunciato che seguirà l’esempio di Bologna; Milano doveva partire il 1° gennaio 2024, ma il sindaco temporeggia. Intanto contro l’ordinanza «Bologna città 30» è partita una petizione, mentre FdI ha aperto un banchetto di raccolta firme in piazza. Nella sua direttiva Salvini — tra le altre cose — scrive che «l’imposizione di limiti di velocità eccessivamente ridotti potrebbe risultare pregiudizievole sotto il profilo ambientale, nonché dell’ordinata regolazione del traffico, creando ingorghi e code stradali». Cioè l’esatto contrario di quello che si sta registrando a Londra, Bruxelles, Madrid, Monaco, Berlino, ecc.: tutte grandi città dove hanno pensato che andare più piano è solo una questione di abitudine. E
anche i più refrattari hanno ormai capito che perdere un semaforo in cambio di maggior sicurezza conviene a tutti. Per il nostro ministro è più conveniente preparare un decreto con cui impedire i limiti smontandone i controlli. E contemporaneamente aizzare la popolazione contro i sindaci che hanno avuto il coraggio di prendere una decisione impopolare per evitare il più possibile ai loro cittadini che un vigile, a un’ora del giorno e della notte, vada a suonare il campanello di casa.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 12 feb 2024 15:44

Riscaldamento globale, consumiamo meno metano per le case.
Scende la produzione industriale, consumiamo meno metano per le industrie.

Al famigerato TTF oggi il gas tocca i 26 euro / mWh, prezzo più basso da novembre 21, pre-putinate.

Anche l'energia elettrica scende sotto ai 100 euro / mWh, avvicinandosi ai prezzi storici (che non erano quelli ultrascontati dei due anni del coviddi, eh).

https://www.qualenergia.it/pro/documenti/quota-rinnovabili-4-9-21-31-pun-5-9-21-e-mwh-11309-petrolio-wti-b-6929-co2-3-9-21-e-ton-6133/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 12 feb 2024 23:15

“Abbiamo nascosto un localizzatore GPS nei vestiti di Amazon, Temu e Shein”: ora sappiamo cosa succede con la fast fashion

https://www.greenme.it/lifestyle/moda/ultra-fast-fashion-linquietante-viaggio-senza-fine-dei-tuoi-vestiti-comprati-e-restituiti-piu-volte-percorrono-fino-a-10-mila-km/

Quando restituite un capo di pronto moda che avete usato, pensate che lo distruggano?
Eh, no.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 13 feb 2024 17:42

Un bravo analista economico recentemente afferma questo, della Cina:

When the Russian-Ukrainian conflict began, China was a much more important country. What has happened over the past two years has been the dysfunction of the Chinese economy to a point that it cannot support many other things. For example, the naval capability that it has, okay, it's quite expensive to maintain. They're not doing that. So at this point, they have a situation
where they've arrived at the place that the United States did after the Civil War. After the Civil War, we started being an exporting power, and we did very well—50% of the world's exports came from the US until World War I broke out and nobody could buy any, and we went into the Great Depression.
So when you have an exporting power, you're looking at an accident that will happen. They're dependent on the internal capability of their customers. And when the customers either no longer have the resources to buy or when they're not interested or whatever, it's a fad, we saw Japan have its lost year, lost decade. This is what happens with exporters. And this is why we
forecast a while ago that China can't sustain its growth because you cannot sustain reliably an economy based primarily on exports unless you own the countries you're exporting to. And they don't. And the United States had the Great Depression and what we're having now is a greater depression in China.

Xi: I'm not sure he hasn't lost power. There's all sorts of maneuvering going on around him, and I'm not sure how much he's controlling it, but they don't want to do this publicly. Look, he came in as the prime minister, as the president at a time when they were the economic miracle of the world where it was clear that they were going to overwhelm the world with everything, invade the United States, and put everything into that. He at this point has created a disaster. Now, it's not really his fault. It's not an economic policy that could have been averted. You cannot build your economy on foreign purchases and maintain an aggressive foreign policy at the same time because you can't deal with your customers in that way. And that was his mistake. He had to make a deal with the United States on military matters, and that would've made it much easier for first Trump and then others to do something about China's problems.
Well, right now the situation is that they have to talk to the Americans. There are meetings going on between the Americans and the Chinese. Xi does not appear to be at the meetings, but he's somewhere. But the real question is they need American investment. The only thing that's going to bail them out here is investment and they can't generate it domestically. So are the Americans interested? Yes, we want everything from them, all their weapons, all their wives, everything that is available. We want to take them immediately. Americans are very reasonable negotiators. So the problem they have is the American price essentially is becoming sort of a vassal of the United States. The Chinese can't do that. The Chinese price is that the United States invest and they guarantee those investments, which are not worth much. So China has a real problem because there's also unrest developing inside of China, all sorts of demonstrations, major lockdowns on security—going into people's houses, checking them for what they have there, and so on.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 14 feb 2024 18:33

https://www.ilpost.it/2024/02/14/mismatch-mercato-del-lavoro/

Le persone non trovano lavoro, le aziende non trovano lavoratori
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 14 feb 2024 23:56

Oh, sorpresa per i fasciopopulisti, gli immigrati non ci stanno più invadendo!

"Anche gli stranieri in Italia non fanno più figli: dal 2012 nascite in calo costante"

Negli ultimi dieci anni il tasso di natalità delle persone straniere in Italia è diminuito costantemente. E con le politiche attuali non saranno loro a salvare il Paese dall’inverno demografico. A certificarlo è il 29esimo rapporto annuale sulle migrazioni della fondazione Ismu (Iniziative studi sulla multietnicità), che ha preso in esame dati aggiornati al 1° gennaio 2023. Il quadro è quello di un fenomeno migratorio che si stabilizza, con 5 milioni 775mila stranieri presenti nel complesso, in calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ma con 110mila residenti in più e 48mila irregolari in meno. Il report ha analizzato l’evoluzione dei flussi in Italia considerando diversi profili, tra cui l’occupazione (molti migranti sono a rischio povertà anche se hanno un lavoro), il welfare (troppo poco mirato per essere efficace) e le prospettive generazionali di chi arriva giovane nel nostro Paese, con più difficoltà a studiare o a cercare lavoro. Il dato più evidente è che, malgrado la percezione, le nascite straniere si vanno sempre più ad allineare verso il basso a quelle italiane. “Ci siamo illusi che la fecondità degli stranieri fosse altissima, ora sappiamo che non è così”, dice Livia Elisa Ortensi, responsabile statistica di Ismu.

Qui trovate il penultimo: https://www.ismu.org/xxviii-rapporto-sulle-migrazioni-2022-comunicato-stampa-1-3-2023/

La fecondità è stata misurata nel ventennio tra il 2002 e il 2022. Dal primo all’ultimo anno dell’intervallo, mentre i nati italiani scendevano da 505mila a 340mila, quelli stranieri crescevano da 34 a 53mila. Nell’ultimo decennio in esame, però, le nascite estere hanno subito un calo costante: nel 2012 erano state 80mila, cioè 27mila in più di quelle del 2022. Per gli studiosi dell’Ismu si tratta di una discesa strutturale, che, in assenza di un welfare ad hoc, smonterà sempre di più la teoria secondo cui i migranti saranno la cura al calo demografico e all’invecchiamento del Paese. “A illuderci è stato l’effetto Baby boom”, spiega Ortensi. “Negli anni Novanta è arrivata una prima leva di migranti prevalentemente maschi. Negli anni 2000 c’è stata una femminilizzazione di questi primi flussi, con l’arrivo di donne in particolare da Filippine, Sud America ed est Europa, nonché ricongiungimenti familiari di chi era arrivato nel decennio precedente. Questo ha generato un picco delle nascite”. L’impatto demografico è stato rilevante: dal 6,3% di nati stranieri nel 2002 si è passati al 13,5% nel 2022. L’effetto però ora è svanito e tra i migranti – soprattutto quelli che sono nel nostro Paese da più tempo – si assiste a tendenze demografiche molto vicine a quelle italiane. E questo accade “anche perché le donne che arrivano hanno gli stessi problemi delle donne italiane, anzi, di più. Spesso, come le italiane meno istruite, svolgono professioni che non permettono flessibilità né telelavoro, sono colf o commesse”.

Istruzione e salari sono osservati speciali. Il 2023 ha segnato il record storico dell’impiego di personale immigrato, con 1.057.620 assunzioni programmate dalle aziende italiane. Anche se occupati, però, i lavoratori stranieri sono tra i più sottopagati e a rischio povertà. Il settore in cui si registra la maggiore incidenza di impiegati provenienti dall’estero è quello dei servizi personali e collettivi (31%): a seguire agricoltura, ristorazione e turismo, costruzioni. Dall’analisi di Ismu risulta che tra gli stranieri prevale il lavoro povero: chi ha un posto a tempo indeterminato guadagna in media 19mila euro all’anno, mentre gli extracomunitari con un contratto a termine percepiscono in media uno stipendio dell’8,3% inferiore ai lavoratori Ue. A pesare è anche la scarsa istruzione: la maggior parte dei migranti non possiede un titolo di studio elevato, ma ben il 60,2% di chi è laureato svolge mestieri a media o bassa qualificazione. Da un lato, quindi, chi arriva fa più fatica a raggiungere condizioni professionali e di vita sostenibili, dall’altro l’Italia attrae principalmente immigrazione poco istruita, segnando un record negativo in questo senso tra i Paesi membri dell’Ue.
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 20 feb 2024 16:40

I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

http://fortezza-bastiani.blogspot.com
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 23 feb 2024 16:20

Facciamo, come prevedibile e previsto, una gran fatica a spendere i soldi arrivatici con il PNRR.

A fine 2023 l’Italia è riuscita a spendere 45,65 miliardi di euro del Pnrr. Il contatore, riportato nella bozza di quarta relazione semestrale sullo stato di attuazione del Piano presentata dal Governo nella cabina di regia con Regioni ed enti locali, indica che «la spesa effettuata nel 2023 è stata di 21,1 miliardi di euro, valore di poco inferiore a quanto registrato cumulativamente nel biennio 2021-2022». Valore, però, anche decisamente inferiore ai 40,9 miliardi di euro segnalati nelle previsioni ufficiali (le ultime sono scritte nella Nota di aggiornamento al Def 2022). L’accelerazione della spesa, insomma, è ancora tutta da realizzare.
I calcoli governativi propongono anche un aggiornamento alla luce della revisione del Piano. In questo caso la spesa reale si ferma a 43 miliardi.

Se siete curiosi su cosa c'è adesso, dentro il nostro Piano, potete leggervi questo tomo:
https://i2.res.24o.it/pdf2010/S24/Documenti/2024/02/22/AllegatiPDF/Bozza_Sez.%20I%20quarta%20relazione%20attuazione%20PNRR%20.pdf
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 23 feb 2024 20:06

Un terribile "dietro le quinte": l'allevamento dei salmoni.

https://video.corriere.it/animali/salmone-allevato-gabbie-pesci-morti-attaccati-parassiti-immagini-drone/83139114-d0f3-11ee-b190-02f3fcf354be#

Una donna a bordo di un kayak si avvicina a delle grandi gabbie in mare, tra le acque ghiacciate di un fiordo nella regione meridionale dei Westfjords, in Islanda. Appena nei pressi dell’allevamento, lancia un piccolo drone e registra delle immagini destinate a far tremare l’intera industria del salmone: migliaia di salmoni nuotano debolmente, molti sono in fin di vita, alcuni galleggiano già morti sul pelo dell’acqua, letteralmente mangiati vivi dai parassiti attaccati al loro corpo.

Questo è solo il più eclatante dei casi che negli ultimi mesi hanno travolto l’industria del salmone nei Paesi del Nord Europa, in Islanda, ma anche in Scozia e soprattutto in Norvegia, il principale produttore al mondo, dove questo sistema di allevamento è nato circa 40 anni fa.

«Di recente in Norvegia abbiamo visto filmati e foto che mostravano tutti questi pesci morti», ci racconta Simen Saetre, giornalista di inchiesta norvegese e co-autore del libro “The New Fish” dedicato all’industria del salmone. «Alcune aziende hanno sbarcato pesci morti o in fin di vita, per venderli ai consumatori. Ne è nato un grande dibattito».

Anche in Islanda, frontiera di espansione per gli allevamenti di salmone, quasi sempre di proprietà delle stesse aziende norvegesi, dopo il susseguirsi di scandali l’opinione pubblica è sugli scudi. «In Islanda c’è un forte movimento ambientalista che sta chiedendo il divieto degli allevamenti in mare», ci dice Harald Berglihn, giornalista del The Norwegian Business Daily.


PERCHE’ MUOIONO I SALMONI
Secondo l’ultimo rapporto annuale pubblicato nei giorni scorsi dall’Istituto veterinario norvegese, nel 2023 un numero record di 62.7 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti in mare in Norvegia, rispetto a una popolazione nelle vasche di circa 390 milioni di esemplari e una produzione nazionale di 1,5 milioni di tonnellate l’anno. In media, secondo lo studio, il 16,7% di tutti i salmoni allevati in Norvegia muoiono prima di essere raccolti, con alcuni allevamenti che toccano punte del 25%. I dati, pubblicati nei giorni scorsi, superano persino il record negativo del 2022, e non includono circa 30 milioni di giovani esemplari morti nelle fasi di allevamento che precedono le vasche in mare, e altri circa 50 milioni di “pesci pulitori”, immessi nelle vasche per eliminare i parassiti.

I numeri negli altri Paesi produttori sono persino peggiori: in Scozia, dove la produzione di salmone è di gran lunga inferiore alla Norvegia (169 mila tonnellate nel 2022), da novembre 2022 a novembre 2023 le autorità hanno contato 20.7 milioni di salmoni morti negli allevamenti; le autorità del Cile, secondo produttore al mondo, non pubblicano statistiche puntuali ma riferiscono di frequenti episodi di mortalità di massa che in alcuni casi hanno sterminato interi allevamenti.

I salmoni muoiono negli allevamenti per diversi motivi, dalle patologie alle condizioni ambientali. In Norvegia la principale causa di mortalità è l’infestazione di pidocchi di mare (epeophtheirus salmonis), parassiti che si attaccano all’animale creando lesioni dolorose che, sopra un certo numero, possono essere anche fatali. Questo organismo è presente in natura, ma con il moltiplicarsi degli allevamenti intensivi nei fiordi negli ultimi decenni ha trovato condizioni ideali per diventare una calamità per l’ecosistema. «Abbiamo avuto questo problema sin dalla nascita degli allevamenti», spiega Trygve Poppe, professore emerito alla facoltà di Medicina veterinaria alla Norwegian University of Life Sciences. Poppe ha lavorato negli allevamenti di salmone dal 1981, quando questa industria faceva i suoi primi passi: «Quando concentri i pesci nelle gabbie, mettendo in ognuna anche 200 mila individui… se pensi che in Norvegia ci sono migliaia di gabbie lungo la costa, il numero di pesci è milioni di volte superiore a quello di un tempo». Non solo. «La maggior parte della produzione avviene in gabbie aperte, con l’acqua che circola liberamente, per cui i pidocchi nel loro stato larvale sono trasportati tra le gabbie e tra i diversi allevamenti».

L’OPINIONE PUBBLICA
Anche se il problema è noto da sempre ai produttori, il dibattito pubblico si è scatenato nelle ultime settimane dopo la pubblicazione di una serie di indagini realizzate da giornalisti e attivisti per l’ambiente. In Norvegia in particolare la polemica è esplosa dopo che alcuni controlli a sorpresa dell’Agenzia per la sicurezza alimentare hanno rivelato che pesci malati o deceduti in alcuni casi venivano destinati al consumo umano. «Hanno introdotto quelle che chiamano ‘navi macello d’emergenza’», ci rivela Poppe. «Se vedono che i pesci sono deboli e fragili, e non supererebbero trattamenti contro i parassiti, con queste barche li macellano sul posto prima che muoiano».

Il tema riguarda anche salmoni destinati all’esportazione: alla fine del 2023 un’altra indagine dell’Agenzia per la sicurezza alimentare norvegese condotta su 49 aziende ha scoperto che in 11 casi il pesce esportato non rispettava gli standard minimi di qualità previsti dalla legge. «I pidocchi del salmone fanno parte della produzione», ha detto in un evento di settore Gustav Witzoe, il direttore di Salmar, seconda azienda produttrice di salmone al mondo, come riportato dal giornale specializzato IntraFish. «Ci saranno sempre, non è possibile liberarsene». Secondo Witzoe, però, «l’industria norvegese è stata brava a trattare i parassiti», riducendo il tasso di mortalità durante i trattamenti. E in ogni caso, secondo l’imprenditore, «i pidocchi non sono un problema per i salmoni e per il loro benessere».

Secondo Poppe l’industria del salmone è «piuttosto cinica» a produrre nonostante un così elevato tasso di mortalità e la sofferenza per gli animali che ne consegue: «Gli allevatori non vogliono smettere di usare le gabbie in mare, preferiscono accettare la mortalità e ignorare il benessere animale fintanto che c’è un buon profitto», ha detto il veterinario.

MUORE ANCHE IL SALMONE SELVATICO
Il problema della mortalità non si limita ai salmoni allevati. Secondo uno studio del 2017 dell’Atlantic Salmon Committee, soltanto in Norvegia si trova il 25% di tutte le popolazioni selvatiche di Salmone Atlantico. Popolazioni, che secondo lo stesso studio, negli ultimi tre decenni sono crollate (con cali tra il 70 e il 90% in alcuni casi), proprio a causa degli allevamenti. «I principali responsabili di questa riduzione sono proprio i pidocchi di mare — afferma Kjetil Hindar, esperto ricercatore del Norwegian Institute for Nature Research (NINA) —. Sappiamo che le larve dei pidocchi degli allevamenti attaccano i salmoni selvatici quando iniziano la migrazione». In questa fase gli esemplari selvatici sono ancora di piccole dimensioni, tra i 12 e i 13 centimetri: «Se sono attaccati da troppe larve di pidocchi di mare, muoiono».

Già dal 2017 la Norvegia ha riconosciuto il problema, mettendo a punto un sistema «a semaforo» che impone agli allevatori di salmone di ridurre la densità nei propri allevamenti in caso di eccessiva mortalità tra i salmoni selvatici.

LO SPRECO DI RISORSE Il salmone, come le spigole, le orate, le trote, i gamberi, i tonni, i polpi, è un pesce carnivoro. Secondo uno studio pubblicato a gennaio dall’Ong inglese Feedback, nel 2020 quasi 2 milioni di tonnellate di pesce selvatico sono state usate come mangimeper produrre 1,5 milioni di tonnellate di salmone. Una grossa parte di questo pesce selvatico è stato importato dall’Africa Occidentale, dove - calcola l’Ong - avrebbe potuto sfamare tra i 2,5 e i 4 milioni di persone. Secondo Saetre, l’elevata mortalità negli allevamenti non fa che aggravare questo problema: i pesci morti o malati diventano scarti o sottoprodotti, ma spesso «hanno vissuto a lungo, mangiando molti mangimi».
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Re: Diario economico

Messaggioda steeeve6 » 26 feb 2024 22:16

zampaflex ha scritto:Un terribile "dietro le quinte": l'allevamento dei salmoni.

https://video.corriere.it/animali/salmone-allevato-gabbie-pesci-morti-attaccati-parassiti-immagini-drone/83139114-d0f3-11ee-b190-02f3fcf354be#

Una donna a bordo di un kayak si avvicina a delle grandi gabbie in mare, tra le acque ghiacciate di un fiordo nella regione meridionale dei Westfjords, in Islanda. Appena nei pressi dell’allevamento, lancia un piccolo drone e registra delle immagini destinate a far tremare l’intera industria del salmone: migliaia di salmoni nuotano debolmente, molti sono in fin di vita, alcuni galleggiano già morti sul pelo dell’acqua, letteralmente mangiati vivi dai parassiti attaccati al loro corpo.

Questo è solo il più eclatante dei casi che negli ultimi mesi hanno travolto l’industria del salmone nei Paesi del Nord Europa, in Islanda, ma anche in Scozia e soprattutto in Norvegia, il principale produttore al mondo, dove questo sistema di allevamento è nato circa 40 anni fa.

«Di recente in Norvegia abbiamo visto filmati e foto che mostravano tutti questi pesci morti», ci racconta Simen Saetre, giornalista di inchiesta norvegese e co-autore del libro “The New Fish” dedicato all’industria del salmone. «Alcune aziende hanno sbarcato pesci morti o in fin di vita, per venderli ai consumatori. Ne è nato un grande dibattito».

Anche in Islanda, frontiera di espansione per gli allevamenti di salmone, quasi sempre di proprietà delle stesse aziende norvegesi, dopo il susseguirsi di scandali l’opinione pubblica è sugli scudi. «In Islanda c’è un forte movimento ambientalista che sta chiedendo il divieto degli allevamenti in mare», ci dice Harald Berglihn, giornalista del The Norwegian Business Daily.


PERCHE’ MUOIONO I SALMONI
Secondo l’ultimo rapporto annuale pubblicato nei giorni scorsi dall’Istituto veterinario norvegese, nel 2023 un numero record di 62.7 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti in mare in Norvegia, rispetto a una popolazione nelle vasche di circa 390 milioni di esemplari e una produzione nazionale di 1,5 milioni di tonnellate l’anno. In media, secondo lo studio, il 16,7% di tutti i salmoni allevati in Norvegia muoiono prima di essere raccolti, con alcuni allevamenti che toccano punte del 25%. I dati, pubblicati nei giorni scorsi, superano persino il record negativo del 2022, e non includono circa 30 milioni di giovani esemplari morti nelle fasi di allevamento che precedono le vasche in mare, e altri circa 50 milioni di “pesci pulitori”, immessi nelle vasche per eliminare i parassiti.

I numeri negli altri Paesi produttori sono persino peggiori: in Scozia, dove la produzione di salmone è di gran lunga inferiore alla Norvegia (169 mila tonnellate nel 2022), da novembre 2022 a novembre 2023 le autorità hanno contato 20.7 milioni di salmoni morti negli allevamenti; le autorità del Cile, secondo produttore al mondo, non pubblicano statistiche puntuali ma riferiscono di frequenti episodi di mortalità di massa che in alcuni casi hanno sterminato interi allevamenti.

I salmoni muoiono negli allevamenti per diversi motivi, dalle patologie alle condizioni ambientali. In Norvegia la principale causa di mortalità è l’infestazione di pidocchi di mare (epeophtheirus salmonis), parassiti che si attaccano all’animale creando lesioni dolorose che, sopra un certo numero, possono essere anche fatali. Questo organismo è presente in natura, ma con il moltiplicarsi degli allevamenti intensivi nei fiordi negli ultimi decenni ha trovato condizioni ideali per diventare una calamità per l’ecosistema. «Abbiamo avuto questo problema sin dalla nascita degli allevamenti», spiega Trygve Poppe, professore emerito alla facoltà di Medicina veterinaria alla Norwegian University of Life Sciences. Poppe ha lavorato negli allevamenti di salmone dal 1981, quando questa industria faceva i suoi primi passi: «Quando concentri i pesci nelle gabbie, mettendo in ognuna anche 200 mila individui… se pensi che in Norvegia ci sono migliaia di gabbie lungo la costa, il numero di pesci è milioni di volte superiore a quello di un tempo». Non solo. «La maggior parte della produzione avviene in gabbie aperte, con l’acqua che circola liberamente, per cui i pidocchi nel loro stato larvale sono trasportati tra le gabbie e tra i diversi allevamenti».

L’OPINIONE PUBBLICA
Anche se il problema è noto da sempre ai produttori, il dibattito pubblico si è scatenato nelle ultime settimane dopo la pubblicazione di una serie di indagini realizzate da giornalisti e attivisti per l’ambiente. In Norvegia in particolare la polemica è esplosa dopo che alcuni controlli a sorpresa dell’Agenzia per la sicurezza alimentare hanno rivelato che pesci malati o deceduti in alcuni casi venivano destinati al consumo umano. «Hanno introdotto quelle che chiamano ‘navi macello d’emergenza’», ci rivela Poppe. «Se vedono che i pesci sono deboli e fragili, e non supererebbero trattamenti contro i parassiti, con queste barche li macellano sul posto prima che muoiano».

Il tema riguarda anche salmoni destinati all’esportazione: alla fine del 2023 un’altra indagine dell’Agenzia per la sicurezza alimentare norvegese condotta su 49 aziende ha scoperto che in 11 casi il pesce esportato non rispettava gli standard minimi di qualità previsti dalla legge. «I pidocchi del salmone fanno parte della produzione», ha detto in un evento di settore Gustav Witzoe, il direttore di Salmar, seconda azienda produttrice di salmone al mondo, come riportato dal giornale specializzato IntraFish. «Ci saranno sempre, non è possibile liberarsene». Secondo Witzoe, però, «l’industria norvegese è stata brava a trattare i parassiti», riducendo il tasso di mortalità durante i trattamenti. E in ogni caso, secondo l’imprenditore, «i pidocchi non sono un problema per i salmoni e per il loro benessere».

Secondo Poppe l’industria del salmone è «piuttosto cinica» a produrre nonostante un così elevato tasso di mortalità e la sofferenza per gli animali che ne consegue: «Gli allevatori non vogliono smettere di usare le gabbie in mare, preferiscono accettare la mortalità e ignorare il benessere animale fintanto che c’è un buon profitto», ha detto il veterinario.

MUORE ANCHE IL SALMONE SELVATICO
Il problema della mortalità non si limita ai salmoni allevati. Secondo uno studio del 2017 dell’Atlantic Salmon Committee, soltanto in Norvegia si trova il 25% di tutte le popolazioni selvatiche di Salmone Atlantico. Popolazioni, che secondo lo stesso studio, negli ultimi tre decenni sono crollate (con cali tra il 70 e il 90% in alcuni casi), proprio a causa degli allevamenti. «I principali responsabili di questa riduzione sono proprio i pidocchi di mare — afferma Kjetil Hindar, esperto ricercatore del Norwegian Institute for Nature Research (NINA) —. Sappiamo che le larve dei pidocchi degli allevamenti attaccano i salmoni selvatici quando iniziano la migrazione». In questa fase gli esemplari selvatici sono ancora di piccole dimensioni, tra i 12 e i 13 centimetri: «Se sono attaccati da troppe larve di pidocchi di mare, muoiono».

Già dal 2017 la Norvegia ha riconosciuto il problema, mettendo a punto un sistema «a semaforo» che impone agli allevatori di salmone di ridurre la densità nei propri allevamenti in caso di eccessiva mortalità tra i salmoni selvatici.

LO SPRECO DI RISORSE Il salmone, come le spigole, le orate, le trote, i gamberi, i tonni, i polpi, è un pesce carnivoro. Secondo uno studio pubblicato a gennaio dall’Ong inglese Feedback, nel 2020 quasi 2 milioni di tonnellate di pesce selvatico sono state usate come mangimeper produrre 1,5 milioni di tonnellate di salmone. Una grossa parte di questo pesce selvatico è stato importato dall’Africa Occidentale, dove - calcola l’Ong - avrebbe potuto sfamare tra i 2,5 e i 4 milioni di persone. Secondo Saetre, l’elevata mortalità negli allevamenti non fa che aggravare questo problema: i pesci morti o malati diventano scarti o sottoprodotti, ma spesso «hanno vissuto a lungo, mangiando molti mangimi».


Niente di nuovo, già in una parte di seaspiracy (2021) si vedono allevamenti in Scozia , se non ricordo male, che erano vergognosi..
Poi però battiamo il 5 alla Norvegia se "rinuncia" al petrolio per basare sul salmone una quota parte importante della sua economia .
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 29 feb 2024 00:18

Via il penale per chi non versa le imposte e poi rateizza. “Così violare le norme fiscali diventa più conveniente. I contribuenti si adegueranno”

L’adesione alle rottamazioni che stanno aprendo una voragine dietro l’altra nei conti dell’erario, perché i contribuenti dopo aver aderito smettono di pagare, diventa una causa strutturale di non punibilità dell’evasione fiscale. Con il risultato di “rendere ancora più conveniente il mancato pagamento delle imposte”, come riassume parlando con ilfattoquotidiano.it il tributarista Tommaso Di Tanno. Non solo: chi rateizza il debito sarà meno esposto al sequestro dei beni finalizzato a preservare una garanzia a favore del fisco. Una novità che secondo Gian Gaetano Bellavia, commercialista esperto di diritto penale dell’economia, “favorisce i malandrini” perché “spogliarsi di quei beni vendendoli a un terzo in buona fede è facilissimo. Poi i proventi possono essere fatti uscire dal conto corrente verso una società estera, attraverso fatture false, e il gioco è fatto”.

Eccolo il punto di caduta dello schema di decreto approvato giovedì scorso dal governo Meloni, che riscrive il sistema sanzionatorio in materia di imposte riducendo le sanzioni amministrative a un massimo del 120% della cifra non versata in caso di omessa dichiarazione e 70% per chi presenta dichiarazione infedele. Quanto al penale, l’omesso versamento di ritenute per oltre 150mila euro e Iva sopra i 250mila – oggi punito con la reclusione da sei mesi a due anni – viene depenalizzato se il debito risulta “in corso di estinzione mediante pagamenti rateali” e il beneficio resta pure per chi smette di saldare le rate, a patto che manchino all’appello meno di 50mila euro di ritenute e 75mila euro di Iva. In più si conferma la decisione di depenalizzare l’evasione “di necessità“, cioè dipendente da “cause non imputabili all’autore”: il giudice dovrà tener conto della “crisi non transitoria di liquidità dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche“.

Il tributarista Di Tanno è tranchant nel demolire la depenalizzazione, rivendicata dal viceministro con delega al fisco Maurizio Leo. “Questa novità si aggiunge alla scappatoia già prevista nel decreto Bollette per chi avesse aderito alle rateizzazioni previste in legge di Bilancio mettendosi in regola solo tra sentenza di primo grado e appello. Non pagare il dovuto diventa ancora più appetibile, perché le imprese quando sono a corto di liquidità si fanno i conti: è più conveniente chiedere un prestito in banca o non versare il dovuto all’erario?”. Più le sanzioni amministrative e penali vengono tagliate, più la bilancia pende in favore della seconda opzione. “Anche perché la banca prima di concedere i soldi fa una valutazione del merito di credito e chiede delle garanzie, come il fatto che prima di aver rimborsato il debito l’azienda non stacchi dividendi. Invece, chi recupera liquidità a danno del fisco può tranquillamente distribuire profitti ai soci”. Così l’agente della riscossione, come lamentato dalla Corte dei Conti, si trasforma nell’equivalente di una finanziaria che concede prestiti a “una massa di debitori a elevato rischio di inesigibilità“. In questo quadro, il provvedimento del governo “finisce per essere oggettivamente uno stimolo a reiterare un comportamento antisociale, la violazione delle norme fiscali”, chiude Di Tanno.

“Ci avviciniamo alla Svizzera, dove il reato tributario non esiste”, è l’analisi di Bellavia. “Basterebbe dirlo, invece che infilare queste depenalizzazioni perché si vuol recuperare qualche soldo dai pagamenti a rate”. L’esperto storce il naso anche di fronte alla scelta di invitare il giudice ad astenersi dal sequestro dei beni finalizzato a confisca se il debito tributario è stato rateizzato, a meno che “sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo”. Così si lascia estrema discrezionalità alla magistratura, ma per l’esperto che è anche consulente di diverse procure l’esito sarà quello di “lasciare chi ha scelto di non pagare le tasse libero di vendere i propri beni, magari con un piccolo sconto, e tenersi i soldi”. Mentre l’Agenzia delle Entrate, anche in questo caso, resta a bocca asciutta. “Tra l’altro non capisco quale sia la ratio della misura, visto che il sequestro non è un pregiudizio permanente: una volta pagato il debito, gli immobili e gli altri beni verrebbero restituiti”.

Meno delicata, per Bellavia, la previsione di non punibilità per chi a sua volta non riesce a incassare da un cliente insolvente i crediti che gli spettano: “Mi pare si cerchino di arginare possibili fallimenti a catena a spese del debito pubblico, cioè di figli e nipoti che dovranno farsene carico. Ma non giudico male la norma: definisce meglio una causa di forza maggiore in presenza della quale già oggi il contribuente va considerato non punibile perché manca l’elemento soggettivo del reato, il dolo”.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 29 feb 2024 11:29

E per mettere a tacere gli sciocchi che guardano il dito quando parlano dell'Europa, riporto un inciso di un articolo di una rivista professionale di PC a proposito dell'attività antitrust dei regolatori comunitari.

L’anno scorso è entrata in vigore una nuova importante legge in tutta l’UE, progettata per frenare il potere dei titani della tecnologia designando le aziende come Apple, Microsoft e Meta “servizi core della piattaforma”, attribuendo loro una nuova serie di obblighi.
Ora stiamo iniziando a vedere cosa sembra in pratica, come Apple che ha annunciato a malincuore una serie di modifiche al modo in cui funziona iOS, in risposta al desiderio dell’UE di ottenere più concorrenza sui nostri telefoni.
Ad esempio, i browser Web attivi sull'iPhone non saranno più costretti ad usare il Rendering WebKit di Apple, il che significa che browser di terze parti potrebbero presto essere ospitati su iOS per la prima volta (pensate a Chrome, a Edge, e così via).
Forse più significative per la maggior parte dei proprietari di iPhone sono le modifiche ai pagamenti e a App Store.
Apple presto consentirà a terze parti creatrici di app di pagamento di sfruttare il chip NFC dell'iPhone, il che significa che gli utenti europei potrebbero fare pagamenti nei negozi senza farli passare attraverso Apple Pay, negando a Apple le commissioni.
E per quanto riguarda l'App Store, essenzialmente il Digital Markets Act (DMA) significa che il monopolio di Apple sul sito da cui scaricare e installare le app è finito, i prodotti di chiunque potranno essere installati sui telefoni senza passare dallo Store proprietario.
Non sorprende che Apple non sia felice. Nell'annunciare i cambiamenti, un comunicato stampa sul sito web di Apple ha avvertito che “le nuove opzioni per elaborazione dei pagamenti e download di app su iOS aprono nuove strade per malware e frodi e truffe, attività illecite e contenuti dannosi e altre minacce alla sicurezza ed alla privacy".
E nell'eseguire le modifiche, Apple sta essenzialmente cercando di dare meno terreno possibile, al punto in cui il CEO di Epic Games, Tim Sweeney, un notorio detrattore di Apple, descrive la loro risposta ai cambiamenti come una forma di “conformità dolosa”.
Questo perché anche se sarà presto possibile per gli europei per installare app iOS dall'esterno dell'ecosistema di Apple, le app in Europa non saranno completamente liberi dall'interferenza di Apple.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 08 mar 2024 18:18

La Cina agisce, segretamente e dopo avere copiato il copiabile e infranto qualunque brevetto industriale possibile, per rendersi autonoma dal mondo occidentale. Dal Wall Street Journal:

China Intensifies Push To Delete American Tech
A directive known as Document 79 ramps up Beijing’s effort to replace U.S. technology with homegrown alternatives.

The 2022 Chinese government directive expands a drive that is muscling U.S. technology out of the country—an effort some refer to as “Delete A,” for Delete America. Document 79 was so sensitive that highranking officials and executives were only shown the order and weren’t allowed to make copies, people familiar with the matter said. It requires state-owned companies in finance, energy and other sectors to replace foreign software in their IT systems by 2027.
Document 79, named for the numbering on the paper, targets companies that provide the software—enabling daily business operations from basic office tools to supply-chain management. The likes of Microsoft and Oracle are losing ground in the field, one of the last bastions of foreign tech profitability in the country.
The effort is just one salvo in a yearslong push by Chinese leader Xi Jinping for self-sufficiency in everything from critical
technology such as semiconductors and fighter jets to the production of grain and oilseeds. The broader strategy is to make China less dependent on the West for food, raw materials and energy, and instead focus on domestic supply chains.
Officials in Beijing issued Document 79 in September 2022, as the U.S. was ratcheting up chip export restrictions and sanctions on Chinese tech companies. It requires stateowned firms to provide quarterly updates on their progress in replacing foreign software used for email, human-resources and business management with Chinese alternatives.

E nel frattempo...

A congressional probe of Chinese-built cargo cranes at U.S. ports has found communications equipment that doesn’t appear to support normal operations, fueling concerns that the cranes pose a national-security risk.
The installed components in some cases include cellular modems, according to congressional aides and documents, that
could be remotely accessed.
The discovery, not previously reported, has added to concerns in Washington about port security and China. The Pentagon and intelligence officials at other agencies have grown increasingly alarmed by the potential threat of disruption and espionage presented by the giant cranes built by China-based ZPMC, which accounts for nearly 80% of ship-to-shore cranes at U.S. ports.
Over a dozen cellular modems were found on crane components at one U.S. port, and another modem was found inside another port’s server room, according to a committee aide. Some of the modems had active connections to cranes’ operational components, the aide said.
While it isn’t unusual for modems to be installed on cranes to remotely monitor operations and track maintenance, it appears that at least some of the ports using the ZPMC-made equipment hadn’t asked for that capability, according to congressional investigators.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 10 mar 2024 10:55

L'assoluta infamia della classe dei bagnini, evasori seriali, profittatori di beni pubblici e ora finalmente si parla anche del loro essere sfruttatori di manodopera.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/09/rispuntano-gli-appelli-dei-balneari-non-si-trovano-bagnini-loro-ricordano-perche-prendevo-600-euro-al-mese-in-nero-senza-mai-un-riposo/7470973/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 14 mar 2024 11:37

L'erba del vicino è sempre più verde, e infatti in realtà è ingiallita!

https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1740558/famiglie-svizzera-ticino-reddito-dieci

Cinque svizzeri su dieci hanno uno stipendio che a malapena permette loro di arrivare a fine mese. Il 93% delle famiglie valuta di aumentare la propria percentuale lavorativa per motivi finanziari. I costi eccessivi della vita sono un buon motivo per quattro famiglie su dieci a rinunciare ad avere figli, e tra tutte le regioni linguistiche, il Ticino è quella che se la passa peggio. Questa è la Svizzera di oggi. Questa è l’impietosa fotografia che viene fuori dal barometro annuale delle famiglie.

Pax e Pro Familia Svizzera hanno intervistato 2’123 famiglie, di cui 190 in Ticino. Diverse le aree tematiche affrontate: si va dalla situazione economica, fino alla previdenza, passando per le coperture finanziarie, nonché la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare.

Ebbene, in tutto ciò ci sono due assilli che fanno da leitmotiv al vivere quotidiano degli svizzeri: gli aumenti delle casse malati e il generale aumento dei prezzi. Due preoccupazioni che sono aumentate notevolmente rispetto allo scorso anno. “Le questioni finanziarie – dice il rapporto - sono particolarmente prevalenti in Ticino, così come nelle famiglie monoparentali e in quelle con un reddito fino a 120'000 franchi. Ciò dimostra che l’aumento dei prezzi sta mettendo a dura prova anche il ceto medio”. La percentuale di famiglie il cui reddito è insufficiente o scarso è particolarmente elevata nella Svizzera italiana e ciò si ripercuote sulle possibilità di mettere da parte dei soldi per i periodi peggiori. A livello svizzero circa il 30% non riesce a risparmiare. Più di un terzo (37%) delle famiglie può mettere da parte un massimo di 500 franchi al mese. Rispetto all’anno scorso, le famiglie considerano complessivamente ridotte le loro possibilità di risparmio. Situazioni che hanno portato la metà delle famiglie intervistate (49%) a considerare di aumentare il grado di occupazione professionale.

Pessimismo – Con queste premesse è inevitabile che sia diffuso tra le famiglie un forte sentimento di pessimismo, che si è ulteriormente accentuato rispetto allo scorso anno. Quasi quattro quinti delle famiglie (79%) si aspettano un peggioramento della situazione generale nei prossimi tre anni (anno precedente: 68%). La percentuale di famiglie che prevedono un forte peggioramento è particolarmente elevata in Ticino, nelle famiglie monoparentali e in quelle con un reddito fino a 100’000 franchi.

Se c’è qualcosa in grado di portare un po’ di serenità nel tran tran quotidiano delle famiglie svizzere, questa sarebbe senza ombra di dubbio la possibilità di disporre di maggiori risorse finanziarie. Peraltro, questo fattore è estremamente rilevante nella Svizzera italiana, soprattutto nelle famiglie monoparentali e in quelle con un reddito fino a 120’000 franchi. Non solo soldi: anche trascorrere più tempo libero con la famiglia e ridurre il livello di stress gioverebbe alla propria vita, secondo gli intervistati.

I costi inibiscono la crescita della famiglia - Per quattro famiglie svizzere su dieci, i costi sono un motivo per non avere più figli. Il 15% degli intervistati ha dichiarato che i costi troppo alti sono la ragione principale per non mettere al mondo figli, e rappresenta una delle tante ragioni per il 26% della popolazione. I fattori finanziari influenzano quindi anche la crescita e la struttura per età della popolazione.

- notevole il tono dei commenti dei lettori:
Ontes - Ciao sono Italiano, per cui certi problemi sottointesi nell'Articolo non posso saperli, però vorrei capire come fanno a non bastare 100 mila franchi l'anno, se in Italia la media è di 32 mila se non meno.

Gimmi 1 ora fa su tio
Risposta a ontesVieni a vivere in Svizzera,e poi vedrai dove é la differenza!!!

Mitch 83 1 ora fa su tio
Risposta a ontesAffitto e cassa malati portano via il 50% dello stipendio (per chi ha figli) poi deduci tasse,corrente , assicurazioni varie, targhe, telefonia e Internet più cari d'Europa rette scolastiche e forse ti avanza qualcosa per mangiare e per vestirti...

Galfetti 1 ora fa su tio
Risposta a ontesontes chi prende 100 mila franchi non sono di certo gli operai, pensionati ecc. sono loro che fanno fatica ad arrivare a fine mese

Matan 1 ora fa su tio
Risposta a ontesAnche la vita è più cara, e non tutti vivono sul confine con la possibilità di fare la spesa in Italia. Meno di 2000 Fr al mese in Svizzera sei sotto la soglia della povertà. Poi, c'è da dire, che spendere soldi (o perderli anche) è sempre molto facile e tante famiglie del ceto medio fanno poca attenzione e "perdono" veramente soldi, a mio modo di vedere, inutilmente.

T-Rex 43 min fa su tio
Risposta a ontesCiao, prendi in considerazione che i CHF 100k citati sono intesi come lordi e per due persone (es: 60k e 40k). Da questi devi dedurre i contributi (circa il 15% per persone dai 25-40 anni) e le tasse (che non vengono dedotte subito come in Italia, e corrispondo CIRCA ad uno stipendio a persona, certe volte un po' di più altre volte meno). Siamo quindi già tra i 70-75k. A questi togli le spese fisse (affitto, cassa malati, assicurazioni varie, telefono e internet, rata della macchina, asilo per chi ha figli ecc) e sono altri 45-50k. Adesso calcola le spese come gli alimenti, e tutto ciò che non è fisso (se spendi CHF 150-200 per gli alimenti a settimana è poco), vacanze, vestiti, piccoli extra.. bhé CHF 100k non è male, puoi fare una vita dignitosa se fai un po' di attenzione, però non vivi nel lusso.. Spero che il mio commento ti abbia dato una visione un po' più chiara. Buona giornata

Emib5 2 ore fa su tio
Il reddito basso c'era già decenni fa e i prezzi proporzionalmente alti anche, però le famiglie risparmiavano lo stesso, come facevano? Ovvio, facendo, come insegnavano una volta genitori e nonni, il passo secondo la gamba. Al di là di questo, vorrei sottolineare come probabilmente il 50% di chi accusa "la politica" di questo stato di cose è quello che ha eletto questi stessi politici e che, ne sono tristemente certo, li votareanno di nuovo.

Ste1960 2 ore fa su tio
Un disastro assoluto, condivido tutti i commenti! Una pazzia in Ticino ci stiamo impoverendo, grazie ai politi miopi ed incapaci che sono stati eletti, tutti I partiti ed i politici che li rappresentano, sono molto bravi nel litigare, anzi fanno di tutto per metterci in ginocchio, tutti a casa ! Gobbi sempre sopra le righe, barbone ma va............, politica di basso livello, ci porterete alla rovina! Complimenti avanti cosi................
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Re: Diario economico

Messaggioda tenente Drogo » 14 mar 2024 12:34

I comunisti mi trattavano da fascista, i fascisti da comunista.
Tutto questo ha aiutato il film.
(Sam Fuller, a proposito di "The Steel Helmet")

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 mar 2024 15:10

I voti della maturità.
Stando ai numeri diffusi a ridosso della chiusura dell’ultima tornata di esami di stato del superiore, gli studenti più preparati albergherebbero nelle regioni del sud Italia.
Nell’estate del 2023, al Sud fioccavano i 100 e i 100 e lode. Superbravi che invece scarseggiavano al Nord.
I dati parlavano chiaro. Il 61% dei 100 e lode è stato attribuito a studenti delle regioni meridionali. Con la Campania che ne conta quasi il quadruplo della Lombardia: 2.620 contro 762. I diplomati settentrionali si aggiudicavano una lode su cinque: il 21%. E rapportando i diplomati con lode con il totale dei diplomati della stessa regione, Calabria e Puglia contavano un tasso
di cervelloni cinque volte superiore rispetto alla Lombardia: il 5,6% contro l’1,1%. Anche i semplici 100/100 abbondavano al Sud, dove su cento diplomati della stessa regione la Calabria ne contava ben 12 e la Sicilia 10. Mentre la Lombardia soltanto 4,4. Quasi un terzo. È pensabile che ci sia tutta questa differenza tra studenti che hanno affrontato le stesse prove di maturità?
I test Invalsi
Quando si passano in rassegna i dati Invalsi le cose cambiano totalmente: i risultati dei test sulle competenze in Italiano, Matematica e Inglese, sempre del 2023 e riferiti agli stessi ragazzi che dopo meno di tre mesi hanno affrontato la maturità,
danno un esito capovolto.
La scorsa primavera, gli studenti dell’ultimo anno delle superiori lombardi che si sono collocati al livello più alto (il quinto) di competenze in Italiano rappresentavano il 10,0% del totale. E coloro che hanno ottenuto la stessa performance in Matematica, sempre in Lombardia, sfioravano il 23%. Quegli studenti da cui ci si aspetta un exploit alla maturità e che avrebbero dovuto
ottenere i voti più alti al diploma. In Calabria, che alla maturità ha collezionato il 5,6% di cervelloni, la quota di studenti al livello più alto in Italiano si è fermata al 3,1% mentre in Matematica siamo sull’ordine del 6,6%.

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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 18 mar 2024 15:32

Gabanelli sui taxi

Vent’anni senza nuove licenze
Per legge sono i Comuni ad avere il compito di stabilire quante licenze servono e di rilasciarne di nuove a titolo oneroso o gratuito. A Milano l’ultima volta che il sindaco è riuscito a incrementarle risale al 2003, concedendo le licenze senza farle pagare ai tassisti vincitori del bando. Oggi il capoluogo lombardo conta 4.855 licenze. Le chiamate inevase, cioè quelle di cittadini che telefonano per avere un taxi ma non lo trovano, oscillano intorno alle 500 mila al mese, con punte del 40% sul totale delle richieste.
A Roma non avviene dal 2005, e la scelta è sempre quella di rilasciarle a titolo gratuito. La Capitale oggi conta 7.692 licenze. Lo scorso luglio le chiamate andate a vuoto sono 1,3 milioni, il 44% del totale. A Napoli l’ultima licenza concessa risale al 1998, al costo di 7.500 lire. In totale sono 2.364, mentre le richieste a vuoto arrivano a quasi 150 mila in un mese, praticamente una su due. È il motivo per cui l’Antitrust, a fronte dei dati raccolti con un’indagine conclusa nel novembre 2023 sui cittadini rimasti senza taxi, sollecita i tre Comuni ad adeguare il numero delle licenze alla domanda. Non va meglio altrove: nelle 110 principali città italiane le licenze sono 23.139, più o meno le stesse da 20 anni, come emerge dal rapporto
dell’Autorità di regolazione dei Trasporti.

Vecchie e nuove norme
Insomma la legge che regola la materia, la 21 del 1992, viene decisamente poco utilizzata, almeno dai Comuni. La usano invece i tassisti: chi ha una licenza da più di 5 anni, o ha compiuto i 60 anni, o per malattia, può indicare al Comune il soggetto a cui trasferirla. In caso di morte può essere trasferita a uno degli eredi, o a chi indicato da loro. Nella pratica il titolare di licenza decide a chi venderla e a quale prezzo: i valori di mercato oscillano fra 150-200 mila euro. Di qui la volontà di bloccare qualsiasi iniziativa dei Comuni che, con l’aumento delle licenze, possa in qualche modo deprezzare quelle in circolazione.
L’altra norma che si aggiunge alla legge quadro è il decreto Bersani del 2006 che prevede la possibilità di un risarcimento per la categoria. Il decreto dice che se il Comune anziché rilasciare nuove licenze a titolo gratuito decide di farsele pagare, l’80%
dell’incasso deve essere ripartito fra i tassisti già in circolazione in quella città, mentre l’altro 20% deve essere investito in politiche sulla mobilità. Finito nel nulla invece l’articolo 10 del Ddl Concorrenza dell’allora premier Mario Draghi che prevedeva tra l’altro di dare una delega al Governo per riscrivere entro febbraio 2023 le regole sui taxi. Dopo l’ennesima rivolta dell’intera categoria l’articolo viene stralciato. Infine il 10 agosto 2023 arriva il decreto Salvini-Urso, definito un provvedimento emergenziale in attesa di una revisione più complessiva del settore. Le nuove norme non toccano la legge-quadro del 1992, ma offrono a 65 Comuni (capoluoghi di Regione, città metropolitane e sedi di aeroporto) un iter amministrativo-burocratico alternativo e, almeno sulla carta, più veloce per rilasciare nuove licenze. La procedura prevede un intervento più limitato dell’Autorità di regolazione dei Trasporti, e il suo parere arriva entro 15 giorni, contro i 45/60 giorni necessari per la procedura standard. Questo avviene perché l’Autorità non apre istruttorie per valutare se il numero di nuovi taxi (inclusi quelli per disabili) è adeguato, ma prende in considerazione solo il contributo economico richiesto dal Comune
per il rilascio delle nuove licenze.
L’incremento massimo di licenze si ferma al 20%, e il Comune che decide di seguire la procedura accelerata non ha più l’opzione di concedere gratuitamente le nuove licenze, è obbligato a venderle e a ripartire il 100% dell’incasso tra i tassisti, per compensarli di eventuali minori ricavi dovuti a una maggiore concorrenza. Ma venderle a quanto? Il regolamento dice che occorre basarsi sullo studio fatto dall’Agenzia delle Entrate.

Il caso Milano
Il primo a muoversi utilizzando la procedura straordinaria è il Comune di Milano. E sul prezzo si scopre subito che non c’è nessuno studio dell’Agenzia delle Entrate. La decisione del sindaco Beppe Sala di utilizzare il decreto Salvini-Urso è motivata dalla volontà di bypassare Regione Lombardia a cui spetta, in base a norme regionali, l’autorizzazione all’aumento delle licenze, ma è riluttante nel farlo. Il 15 novembre 2023 viene pubblicata la delibera per indire il concorso straordinario finalizzato al rilascio di 450 nuove licenze al costo di 96.500 euro l’una.
Come si è arrivati a questa cifra? Secondo i conti del Comune le 450 licenze faranno diminuire del 5,03% le corse evase dai tassisti già in circolazione, con minori incassi per 8.048 euro in un anno. Moltiplicando 8.048 per gli attuali 4.855 titolari di taxi si arriva al risultato di 39.073.040 milioni: è la cifra con cui il Comune vuole risarcire i tassisti milanesi. I 39 milioni divisi per le nuove licenze fanno 86.829 euro che, dunque, per Milano è la cifra a cui vendere ciascuna licenza, che sale a 96.500 perché considera una percentuale di sconto da applicare a chi è in possesso di un’auto abilitata al trasporto disabili, o s’impegna per 5 anni a fornire turni notturni e nel fine settimana. I tassisti milanesi hanno risposto con un ricorso al Tar
(che si esprimerà il 18 aprile). A loro il calcolo del Comune è indigesto: vorrebbero che le nuove licenze venissero vendute a un presunto valore di mercato di 160 mila euro, in modo anche da scoraggiare la partecipazione degli aspiranti tassisti.

Il caso Roma
Anche il Comune di Roma è alle prese con l’aumento delle licenze. La scelta però è di puntare sulla procedura vecchia (quella della legge del 1992), in modo da non essere obbligati a dare il 100% dell’incasso ai tassisti e potere intervenire su più aspetti di organizzazione del servizio con l’aiuto dell’Autorità di regolazione dei Trasporti.
L’obiettivo del sindaco Roberto Gualtieri è di rilasciare mille licenze permanenti e altre 500 stagionali pubblicando il bando prima dell’estate. Roma è la città che più di tutte sta soffrendo il disagio di un servizio carente e inadeguato, ma anche quella più vulnerabile in caso di scioperi.

Le altre città e i problemi di sempre
Bologna sta costruendo il bando per 72 nuove licenze con le norme Salvini-Urso, che andranno ad aggiungersi alle attuali 722. Nel 2018 il Comune le ha messe in vendita a 175 mila euro riuscendo ad assegnarne solo 16 su 36. Il tentativo ora è di abbassarne il prezzo e pubblicare il bando a maggio. Modena e Ravenna intendono seguire, invece, la vecchia procedura. Poco o nulla si muove altrove. Eppure le leggi ci sono tutte, ma resta il problema di sempre. Appena i Comuni provano a mettere mano alla questione per i tassisti è di fatto sempre un no, e bloccano la città. E non vogliono neppure la concorrenza di Uber &C. Dai governi però non è mai arrivata la copertura politica. È necessario ricordare che i taxi svolgono un servizio pubblico la cui prestazione deve essere obbligatoria, capillare sul territorio, e accessibile economicamente. Ma nel Paese delle lobby, quella composta da milioni di cittadini che aspettano inutilmente un taxi che non arriva, ancora non c’è.
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 21 mar 2024 15:54

Un pazzo ha pubblicato un grafico dove per ogni singola tipologia di lavoro negli Stati Uniti viene riportato il reddito medio.
Sono millemila, un passatempo per i curiosi.
Non vorrei però essere un cuoco di fast food (18900 verdoni lordi medi annui, ultima categoria in classifica)

https://i.imgur.com/NbYbNrs.png
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 28 mar 2024 10:55

Lungo, ma eccellente pezzo di Ray Dalio (che ricordo, di formazione è uno storico anche se poi ha gestito un hedge fund di gran successo per molti anni) sulla tempesta che si sta abbattendo sulla Cina. Lungo, in inglese, ma da leggere assolutamente per conoscere il futuro prossimo del pianeta.

https://www.linkedin.com/pulse/china-100-year-storm-horizon-how-five-big-forces-playing-ray-dalio-wysbc/
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Re: Diario economico

Messaggioda zampaflex » 31 mar 2024 23:44

In Italia, secondo i dati del centro studi Jfc, sono 608mila gli alloggi disponibili sulla piattaforma principale: Airbnb. La maggior parte concentrata in tre regioni che insieme ne contano più di un terzo: Toscana, Sicilia e Lombardia. A Palermo, nell’ultimo anno, le locazioni brevi sono aumentate del 45%, a Napoli del 30, a Torino i pianterreni hanno trovato nuove
redditività e i locali commerciali sono stati convertiti in case-vacanza, a Bari quasi due appartamenti al giorno vengono trasformati in alloggi per turisti. E Roma trema perché nel 2025 c’è il Giubileo e si prevedono altri tremila b&b pronti a spuntare come funghi. Una bolla che vola da anni e non è ancora esplosa.
Gli appartamenti per una toccata e fuga erano 89mila dieci anni fa. Un altro mondo. Dove effettivamente affittava solo chi aveva una casa o una stanza in più, per arrotondare lo stipendio. Adesso più della metà degli host ha più di un alloggio per il
turismo mordi e fuggi: proprietari o intermediari che collezionano decine di annunci e li gestiscono per professione.
Al primo posto nella capitale c’è iFlat, che controlla 264 appartamenti. Il primo nome comune, Stefano, ha 57 proprietà, tra intere case e singole stanze. La ragione è semplice: conviene. La locazione breve tutela l’affittuario perché riduce il rischio
di inquilini morosi, permette di utilizzare la casa in alcuni periodi dell’anno e, ovviamente, fa guadagnare di più. Nel 2022 la piattaforma Airbnb raccontava che un host medio guadagnava più di 2.600 al mese. A Roma una simulazione di Idealista mostra un incasso annuale più che doppio - 26mila euro contro 10mila -, a Bologna 19mila contro 13mila.
Il riflesso sulle città è dirompente.
Jfc ha calcolato il limite di sostenibilità che un territorio può sopportare in rapporto ai suoi residenti; il risultato è che soprattutto in città come Firenze e Venezia quella soglia è stata già ampiamente superata: il turismo è insostenibile. In Laguna gli alloggi privati coprono più della metà dell’offerta ricettiva. E il 10 marzo, riporta l’anagrafe del Comune, si contavano 49.082 residenti e 49.818 posti letto a uso turistico. Era già successo nel 2020, poi la pandemia ha frenato i flussi, fino al settembre scorso, quando il conta-letti nella libreria di campo Santa Margherita ha ripreso la folle corsa, segnando
il sorpasso dei turisti sui residenti. L’effetto sostituzione esiste: le città sono terre di conquista degli investitori, chi compra ristruttura per immettere sul mercato degli affitti brevi (a Napoli accade a una casa in vendita su due), gli alloggi per i cittadini sono sempre meno, la spirale dei prezzi è una vertigine al rialzo con aumenti del 10% in un anno, il commercio si è adeguato e ha cambiato volto, i centri storici sono diventati luoghi dove abitare è un lusso per pochi. A Firenze in meno di
nove anni sono andati via 4mila residenti, come se più di uno al giorno fosse sparito dai registri comunali. A Genova il 60% delle case è ormai inaccessibile per un single con un reddito medio.
Per anni le amministrazioni hanno assistito impotenti. Una prima regolamentazione — aliquota al 26%, Scia per l’attività imprenditoriale di chi ha più di 4 alloggi e codice identificativo nazionale — è arrivata solo quest’anno, giudicata acqua fresca
da esperti e sindaci come Giuseppe Sala. Per Venezia una norma fissa un limite al numero di affitti brevi ma è inapplicata da un anno e mezzo. Firenze ha provato a mettere davvero un freno all’erosione della città da parte di Airbnb, ma sulla legge-
Nardella è piovuta una raffica di ricorsi e ora spetta al Tar. Milano vorrebbe imitare New York con affitti brevi consentiti solo negli appartamenti dove gli host risiedono, più che un obiettivo sembra un’utopia. E mentre ci si affanna per regolamentare
qualcosa che è sfuggito di mano, si è già aperto un ulteriore fronte di competizione nel mercato dell’abitare. Come scrive Barbara Brollo, ricercatrice del dipartimento Metodi e modelli per il territorio, l’economia e la finanza della Sapienza, l’ipermobilità contemporanea ha fatto esplodere un nuovo fenomeno: affitti a medio termine i cui utenti sono quelle popolazioni temporanee, in netta crescita, che transitano nelle città: fuorisede, nomadi digitali o persone che hanno bisogno
di un alloggio per qualche settimana o mese. A Roma sarebbero 200mila al giorno. Le piattaforme di riferimento sono Spotahome o Housinganywhere ma anche Airbnb si è tuffata su questo segmento con campagne specifiche. Il mercato è regolato da contratti di locazione a uso transitorio, una normativa più solida, ma non adeguata. «La continua rinegoziazione
dei contratti a medio termine rispetto ai classici 3+2 e 4+4 fa innalzare più rapidamente i canoni di affitto e le locazioni temporanee sono l’ennesimo fattore di precarizzazione della residenza e dunque di espulsione degli abitanti stabili dai
centri storici», scrive Brollo insieme a Filippo Celata e Gianluca Bei dello stesso dipartimento. E mentre all’estero si ragiona di questo, l’Italia è in ritardo e arranca ancora.
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