bobbisolo ha scritto:Marco ha scritto:bobbisolo ha scritto:tenente Drogo ha scritto:ho una certa età e ricordo quei tristi slogan come "uccidere un fascista non è reato" e il clima che si respirava in quegli anni orribili
ricordiamo che, anche nel dopoguerra, oltre il golpe Borghese fallito, il periodo stragista fu di matrice fascista col supporto di parti (non voglio dire di tutti) dei servizi segreti... mi piace l'intervento di Scurati anche perchè ricorda in parte questo dettaglio.
lo slogan è triste, ma qualcuno diceva che per garantire/ottenere la pace bisogna anche usare la violenza, sicchè...
Quindi ?
Posso dire che chi incita alla violenza siete "voi" ?
Magari, nel tuo piccolo, dai anche ragione a Raimo o quell'altra rincojonita della Di Cesare ?
Così per parlare...
per te, per littlewood e per tutti, buon 25 aprile
*25 Aprile, la mia Resistenza e i fascisti eterni*
di Furio Colombo
Il presidente del Senato della nostra Repubblica nata dalla Resistenza dice di essere arrossito di orgoglio, quando gli hanno dato del fascista. A me la parola fascista, oltre un sussulto ineliminabile di paura, ricorda in modo quasi automatico due momenti della mia scoperta della Resistenza.
Il primo è a Torino, nella portineria della mia casa, rione Crocetta. Eravamo in tre o quattro ragazzi di ritorno da scuola. Siamo stati fermati sui primi gradini. Il portinaio, che era anche operaio della Fiat, e a cui volevamo bene perché ci lasciava giocare al pallone nel cortile, era davanti a noi con un fucile, che ha alzato con le due mani come nella scena di un film. Toccarlo no. Era pericoloso e non era un gioco. «Per un po’ non mi vedrete. Vado in montagna, i compagni mi vengono a prendere tra poco».
Lui non c’era il 25 Aprile. Ma c’eravamo noi, adolescenti liberi e salvati dall’orrore della Repubblica di Salò, immensamente orgogliosi, il 25 Aprile, di quel primo giorno in cui la libertà la respiravi nell’aria, la sentivi incontrando e abbracciando ogni altra persona.
Il secondo momento era accaduto nei giorni in cui gli americani tardavano ad arrivare, i rastrellamenti dei collaborazionisti fascisti erano in grado di fornire agli invasori tedeschi sempre nuove famiglie da gettare sui treni per la difesa della razza, insieme agli antifascisti, ai soldati italiani decisi a non combattere più quella guerra. Intanto i partigiani morivano.
E io ricordavo un 2 febbraio, giorno della benedizione della gola, che allora veniva celebrato con fervore nelle parrocchie dei paesi della pianura, a quei tempi immensamente pericolosa, fra Piemonte e Lombardia. Chissà quale consiglio sbagliato ha indotto gruppi di giovani uomini nascosti nella campagna a pensare di camminare di notte per prendere la benedizione all’alba e poi scomparire di nuovo.
Non è andata così. Nei dintorni c’erano sgherri della organizzazione tedesca Todt che, insieme ai fascisti locali, si sono tenuti pronti. La tragica trovata è stata di fare all’improvviso, nel mezzo della notte, un rumore, violento, grida nelle strade buie e vuote di campagna, e di urlare a voce altissima canzoni (una, ossessiva, era “O chitarra romana”) per coprire le grida delle vittime e i colpi delle fucilazioni.
Dalla mia camera ho contato sette colpi. La sparatoria era molto vicina, e ognuno mi è sembrato un rombo pauroso. La mattina, andando a scuola (io ci andavo a tutti i costi perché la maestra ci dava notizie della Resistenza e noi portavamo i suoi biglietti al ciclista o al vinaio) ho trovato sette corpi dove erano caduti, con il loro sangue schizzato sui muri.
Per questo mi riesce difficile immaginare Ilaria Salis colpevole per avere dato botte a chi, in tenuta da SS, stava celebrando “quei giorni dell’onore” ovvero i massacri. Il suo gesto si aggiunge a una indignazione e una determinazione a non dimenticare che dovrebbe essere di tutti. Non lo è perché si è perduta o abbandonata la percezione di ciò che è accaduto e sta accadendo in Italia.
È maledettamente vero ciò che dicono Umberto Eco e Luciano Canfora sul “fascismo eterno”, sul “fascismo che non muore”. Ma c’è una tragica differenza che identifica il fascismo in cui ci fanno vivere adesso, fra siepi di saluti romani e fatti continuamente falsificati, fra censure che intendono mutilare il passato e impedire di ricordare che l’Antifascismo ha vinto ed è diventato questa Repubblica e questo presidente.
La tragica differenza è questa. Molti di quegli italiani che hanno gremito le piazze di Mussolini non potevano sapere il dopo, non avevano un’idea della folle guerra, senza alcuna neppure modesta preparazione, che avrebbe falcidiato giovani generazioni di italiani disarmati e distrutto completamente il nostro Paese e partecipato alla distruzione di tutto il mondo libero.
Non potevano sapere, nonostante le squallide propagande, che l’Italia avrebbe mandato treni stipati di vittime da eliminare in difesa della razza, nei campi di sterminio nazisti. Non sapevano delle Fosse Ardeatine e di Sant’Anna di Stazzema o di Marzabotto o di via Tasso o dei soldati italiani che sono stati mandati a fare stragi di popolazioni serbe, croate, slovene nei Balcani occupati dall’Italia per conto dei nazisti. Non sapevano di Ante Pavelic, leader croato fascista, amico fraterno di Mussolini, che esigeva che si cavassero gli occhi ai prigionieri antifascisti prima di ucciderli.
Ora coloro che si rifiutano di dire la parola “Antifascismo”, ovvero il nome del movimento di popoli che, dopo la tragedia delle persecuzioni e delle stragi, ha riportatola libertà nel mondo, lo sanno. Sanno tutto su chi erano e che cosa hanno fatto, e in che modo, e con quali delitti, coloro che con Mussolini hanno governato un’Italia suddita.
Ora lo sanno coloro che si schierano a fare il saluto romano, sanno che è un saluto di morte, lo sanno coloro che si fregiano delle memorie di quegli orrori. Lo sanno coloro che dicono beffardamente di essere “anticomunisti e antifascisti”, come se il fascismo avesse sgomberato spontaneamente, come se i cancelli di Auschwitz si fossero aperti da soli.
Sanno, coloro che vanno in pellegrinaggio a Predappio che passano su una distesa di morti. Lo sanno tutti coloro che vogliono eliminare il 25 Aprile, la data della nostra Liberazione da cui è nata la nostra Costituzione. Quelli come me, che allora c’erano, restano con i ricordi più tristi e i ricordi più belli.