Messaggioda zampaflex » 01 mag 2024 16:51
Gestione degli immigrati e avviamento al lavoro.
Lo scorso novembre il presidente della società Paolo Pizzarotti, proprietaria del «Residence degli Aranci» a Mineo, dove era stato installato il famigerato Centro Accoglienza sovraffollato e poi chiuso da Salvini sia perché non siamo stati capaci di gestirlo, sia per propria opinione poitica, si rivolge alla Presidenza del Consiglio, e ai ministri dei Trasporti, Interno, Difesa ed Economia:
«Se è di vostro interesse riaprire il centro di Mineo la nostra società è disponibile a gestirlo in prima persona, con all’interno laboratori artigiani, industriali e agricoli: 100 corsi complessivi della durata di 100 ore a corso per formare ogni anno 2.500
richiedenti asilo». Il progetto è dettagliato e indica i costi di affitto e gestione: 23 milioni l’anno. Più l’impegno ad assumere nei propri cantieri 400 migranti per il 2024, 400 per il 2025, e altri nell’indotto. A oggi la proposta di Pizzarotti non ha avuto alcuna risposta.
E' la spia della situazione. Dai dati presentati da Unioncamere, solo tra febbraio e aprile 2024 le nostre imprese hanno bisogno di 24.450 fonditori, saldatori, lattonieri e carpentieri: il 70% non si trova; 29.190 meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori: difficoltà a trovarne il 69,8%; come il 62,9% dei 18.090 operai specializzati richiesti e il 62,3% dei 66.320 autisti necessari. Nella ristorazione servono 178.460 camerieri e baristi: il 56,8% manca. E il lungo elenco continua con il personale nei servizi di pulizia, costruzioni, manifattura, commessi, ecc.
Eppure ogni anno abbiamo 80 mila richiedenti asilo. Si potrebbe attingere lì, visto che dopo 2 mesi dalla presentazione della
richiesta per la protezione internazionale per legge possono lavorare. Il problema è che vanno formati, e in Italia un programma di formazione-lavoro è possibile solo per chi ha ottenuto il diritto d’asilo, e l’iter burocratico può durare anche 2 anni. Durante questo limbo i migranti vengono reclutati nel mercato del lavoro nero, o dalla criminalità per finire nel giro della prostituzione e dello spaccio.
La legge non ha mai previsto che nei centri di prima accoglienza ci fossero programmi per l’inserimento lavorativo. E con il decreto-legge Cutro del marzo 2023 vengono eliminati anche i corsi di lingua italiana, che per le imprese è un requisito fondamentale, e perfino i servizi di accompagnamento e iscrizione agli uffici del lavoro.
Per lo Stato il richiedente asilo è più un problema che una risorsa utilizzabile, e quindi restano solo le iniziative isolate. Le Agenzie per il Lavoro associate ad Assolavoro, e finanziate dalle imprese, offrono la possibilità di seguire corsi di lingua italiana e di formazione professionale per operatori socioassistenziali, saldatori e carpentieri. I partecipanti possono chiedere il rimborso per le spese di vitto e alloggio e hanno diritto a ricevere 3,50 euro per ogni ora di formazione.
Al termine del corso ricevono un’indennità una tantum di 1.000 euro. Tra il 2022 e il 2023 sono stati formati in 4.500 tra richiedenti asilo e rifugiati. Nello stesso periodo di tempo, grazie all’incrocio della domanda con l’offerta fatto da Assolavoro, oltre 30 mila migranti hanno avuto accesso a una occupazione con la retribuzione e i diritti tipici del lavoro dipendente.
C’è poi il programma Welcome dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, che ha avviato in Italia oltre 30 mila itinerari di inclusione lavorativa in 7 anni. Nel 2022 hanno aderito 167 imprese, e hanno dato un’occupazione a 9.300 migranti, principalmente nel settore alberghiero e ristorazione (il 23%), nelle attività manifatturiere (22%), e in quello delle costruzioni (7%). In sostanza: le aziende hanno bisogno di lavoratori per mestieri che gli italiani non vogliono più fare?
O se li vanno a cercare uno per uno e se li formano, oppure si appoggiano alle associazioni che cercano di fare incontrare domanda e offerta, ma dentro a un sistema che invece di agevolare, ostacola.
Il modello tedesco
Anche in Germania le aziende hanno un enorme fabbisogno di manodopera, ma si sono organizzati in modo totalmente differente: rifugiati e richiedenti asilo, a partire da 3 mesi dall’arrivo sul suolo tedesco, partecipano all’Ausbildung, il sistema di formazione professionale tedesco che dura dai due ai tre anni e mezzo e prepara per 330 professioni con un costo a tirocinante di 15.300 euro all’anno. Una spesa sostenuta quasi interamente dalle imprese private, mentre lo Stato contribuisce con 600 euro. Oggi sono in 40.329 i partecipanti a questo programma. Previsto anche un Ausbildungsduldung,
un permesso speciale che consente di rimanere in Germania per la durata della formazione e potenzialmente più a
lungo.
Quanto paga la formazione
Non tenere i migranti parcheggiati nel nulla pagherebbe anche in Italia. Tra il dicembre 2019 e il luglio 2021, all’interno del progetto Forwork — finanziato dalla Commissione Europea, coordinato dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (soppressa il 1° marzo 2024) insieme con la fondazione Debenedetti — sono reclutati nei centri di prima accoglienza del Piemonte 1.262 richiedenti asilo. Metà di loro vengono inseriti in corsi di 20 ore con formatori che li aiutano a preparare un curriculum per valorizzare le loro competenze, presentarlo e entrare in contatto con potenziali datori di lavoro. L’altra metà, come d’uso, non viene coinvolta in alcun progetto. I partecipanti sono per il 77% maschi, con un’età media di 27 anni, che hanno frequentato 9 anni di scuola nel loro Paese d’origine (Asia e Africa per la quasi totalità dei casi).
A distanza di un anno e mezzo l’esito è questo: il 50% di chi ha seguito il corso si è inserito nel mondo del lavoro, contro il 30%
degli altri.
Non progredi est regredi