Pur in grave ritardo, eccomi finalmente con due sintetiche note sui vini bevuti da Ivo sabato 13 aprile.
Premetto che me la sono goduta, e quindi non ho preso appunti. Inoltre, il meraviglioso connubio cibo-vino e l’atmosfera scanzonata della tavolata mi hanno ulteriormente distratto da un’attenta analisi organolettica dei vini.
Abbiate quindi benevolenza.
Last but not least, un doveroso e sentito grazie al sempre munifico padrone di casa e ai suoi fantastici figli!
CHAMPAGNE DIEBOLT-VALLOIS: piaciuto, gradevole introduzione, anche se non da strapparsi i capelli.
CHAMPAGNE SALMON (DOPPIO MG): molto invitante nei suoi profumi
ancien régime, con una bella nota lattica/yogurtosa che virava poi alla crema pasticcera, in bocca paga un po’ pegno rispetto allo champagne precedente, ma è comunque gradevole e dissetante. Liqueur da 9 g/l direi ben gestiti, anche grazie a una sboccatura non recentissima (03/2017).
RONCO DEL RE 1988 CASTELLUCCIO DI GIAN MATTEO BALDI (MG): avevo grandissime aspettative su questo vino, dopo che un annetto e mezzo fa avevo bevuto un grandioso 1990, che ad oggi rimane forse il più grande vino bianco italiano da me bevuto. Questo non è allo stesso livello, anche se ne ho apprezzato l’assoluta integrità, a distanza di oltre trent’anni dalla vendemmia. Nel bicchiere è molto migliorato nei profumi (inizialmente un po’ imprecisi, con una gomma bruciata che faceva capolino), ma in bocca mancava un po’ di tensione e di profondità, pur avendone apprezzato l'ottimo bilanciamento tra le parti, che invogliava al sorso successivo. Un bel vino insomma, sorprendente per l’età, ma senza i sussulti di cuore di altre annate passate (c’è ancora chi ricorda uno straordinario 1981, che ahimè non ho mai bevuto… ma credo che Ivo ne serbi ancora una bottiglia, chissà che primo o poi non lo voglia aprire…
)
Prima batteria dei rossi:
BRUNELLO DI MONTALCINO 2012 CORTE DEI VENTI (MG): molto piaciuto, sebbene i profumi risentano un poco dell’annata calda. La bocca invece è lineare, snella, di ottima beva, mantenendo comunque buona profondità.
BAROLO GAVARINI CHINIERA 2013 ELIO GRASSO (MG): a me non è piaciuto, mi è parso anche piuttosto chiuso, non sono riuscito a trovare nulla che mi ricordasse un vero barolo.
PUILLAC 2008 CHATEAU PONTET-CANET (MG): colore da malbec argentino, quasi viscoso nel bicchiere, sulle prime è indubbiamente spiazzante, sia per profumi debordanti di frutta che per un impatto gustativo dai tannini piuttosto fitti a centro bocca. Tuttavia, avendo la pazienza di attenderlo, è molto migliorato nel bicchiere e si è anche molto ingentilito, mano a mano che l’areazione scioglieva la matassa e restituiva un assetto aromatico e gustativo più consono a un grande Puillac. PAI lunghissima, anche se l’impressione è di un vino che debba ancora assorbire l’elevage e a cui una decina d’anni in bottiglia non possano fare che bene.
NUIT ST. GEORGES 1ERCRU LES CORVEES PAGETS 1999 - DOMAINE ARNOUX (MG): a me è piaciuto poco o nulla, un vino scarnificato, che non aveva più nulla da dire, uno scheletro di freschezza senza più ciccia (né sapore) attorno.
CARMIGNANO RISERVA 2004 - PIAGGIA (MG): è a mio avviso il vino della giornata (se si esclude il Vino Santo, che gioca un campionato a sé stante). Toscano fino al midollo, sangiovese di razza (anche se sono ben consapevole del saldo di vitigni bordolesi, che qui quasi non si percepiscono, se non forse ad arricchire un bouquet molto elegante), ha tutto: freschezza di beva, sapore, avvolgenza, profondità. Grande dinamica di bocca, insomma, per un notevole conseguimento.
BARBARESCO “BRICHET” COTTA’ RISERVA 2004 - SOTTIMANO (MG): l’ho atteso, l’ho aspettato e l’ho cercato di ascoltare con attenzione. Eppure, a me è parso un vino ancora piuttosto chiuso, con un corredo tannico che non allungava il sorso (come ai migliori nebbioli riesce benissimo), ma lo frenava. Un vino di struttura, ma privo di dettaglio (anche aromatico). Da risentire tra qualche anno, ma devo dire che lo stile del produttore non mi ha mai convinto.
VINO SANTO 1914 (FAMIGLIA DILETTI): è sempre più difficile trovare le parole per descrivere liquidi simili, fuori dal tempo e dai gusti cui siamo abituati. Di certo il più definito e giovanile tra tutti i "vini santi" bevuti a casa di Ivo: se dovessi trovare il descrittore principale, direi l’agrume (il cedro, per la precisione), poi lo zenzero e la cera d’api e la ormai “classica” nota di cenere spenta. In bocca è un portento di vitalità: non troppo dolce, ma di una freschezza trascinante, con ancora una lieve traccia tattile che è il ricordo del nobile vitigno da cui proviene (l’albana).
Lode e onore a un vino che fu, che è e che sarà.