Messner ha scritto:BarbarEdo ha scritto:Da quello che ricordo: trattasi di una vite trovata in una vigna che Sandrone e affittava negli anni 80, e che ha in seguito comprato. Acini piccoli, buccia spessa e particolare resistenza alla peronospora. Ne ha innestato dei cloni e piantato una vigna, le cui uve fino al '12 finivano ne "le vigne" e dal 13 vinificate a parte. Pare si tratti di un Michet virosato, che dà vini di particolare struttura e fittezza.
Un'operazione lungimirante... Oggi sto discorso attira un sacco la curiosità di critici e pubblico. In realtà se si guarda nelle vecchie vigne in giro per il Piemonte si trovano un mucchio di viti da selezione massale con caratteristiche molto particolari, poi non più propagate perché poco produttive in favore di altri cloni.
Qualche giovane produttore del Monferrato sta cercando ora di recuperare questi vecchi cloni oggi, in quest'epoca di "ancestrofilia", vedi Enrico Druetto o Tommaso Gallina. Negli anni 80 la filosofia corrente era un po' diversa, per cui, chapeu...
Non so il prezzo ma, trattandosi di un "unicum" in Langa, tirato in poche migliaia di bottiglie per anno, e in più una bella mano in cantina, facile che superi i 200...
Complimenti per le nozioni, sei molto informato
Ma no... quelli davvero informati sono altri, più "insider" di me
.
A me interessa la pratica del recupero di vecchi cloni anche (soprattutto) dal punto di vista viticolo e fitosanitario. Non è un caso che quel vecchio clone di nebbiolo abbia una maggiore resistenza alle malattie crittogame, che verosimilmente negli ultimi 60 anni si sono evolute per adattarsi meglio ai nuovi cloni selezionati e messi in vendita dai vivai.
La selezione clonale era di sicuro la soluzione più razionale alle richieste del mercato del vino degli anni 50- 60-70, dove si doveva fare quantità e le viti dovevano essere selezionate per essere produttive. Oggi il mercato è indubbiamente diverso. Non che la produttività non sia importante, ma in certe denominazioni puntare sulle alte rese e bassi costi non è più la soluzione vincente. Penso che un'attenzione alla longevità delle viti e alla ricerca della complessità attraverso la policlonalità potrebbero essere strategie migliori per chi vuole fare alta qualità.
Sto pensando al problema della flavescenza, in primis. Ma anche mal dell'esca e atre simpatiche cose con cui ogni anno ci si confronta... Senza contare che i costi di sostituzione delle fallanze (quando non di intere vigne) generati dalla flavescenza sono piuttosto gravosi.
Discorso simile si potrebbe fare sui portainnesti, anche se lì mi sembra ci sia più libertà di movimento e più ricerca da parte dei vivai (penso ai nuovi portainnesti M dei VCR..).
C'è una frase di un biologo evoluzionista, George Williams che ho sentito citare un paio di volte e che rende bene l'idea:
“fare selezione clonale significa aver comprato cento biglietti per la lotteria del’evoluzione, tutti con lo stesso numero”.
Poi, certo, ci sono dei "contro": virosi, disomogeneità fisiologiche, di maturazione, di vigore, ecc... Però l'idea mi affascina e trovo interessanti i progetti di chi prova a riprendere una selezione massale da vecchi vigneti, pur con le infinite limitazioni legislative.