Messaggioda marcolanc » 18 dic 2017 11:09
È doveroso iniziare ringraziando il padrone di casa, grazie alla cui passione, tramandata da generazioni, abbiamo potuto vivere l’ennesima giornata indimenticabile. In una giornata normale, se risultano compromesse 5 bottiglie, tra cui Batard-Montrachet di Leflaive e Mouton Rothschild, molto probabilmente la qualità della bevuta è irrecuperabile. Marco, senza battere ciglio, le ha sostituite tutte con autentici fuoriclasse. Poi, come sempre, si è mangiato alla grande... davvero, grazie mille a Marco!
Veniamo ai vini.
Confermo la bontà di Dumenil, in qualità di pre-pre-aperitivo: fresco, beverino, pulito. Bella bottiglia!
Al contrario, non mi ha convinto troppo La Scolca, a mio avviso molto al di sotto della sorella bevuta un paio di settimane fa al Marconi: stavolta, le note di ossidazione viravano troppo sull’amaricante, con una presenza alcolica a mio avviso troppo decisa.
La Grande Dame, invece, aveva tutto a posto: molto più integra e piacevole, anche se, a mio avviso, le mancava lo “spunto emozionante” che vorrei trovare in vini di quel prezzo.
Salto di qualità enorme quando siamo passati a Vesselle: una dinamica nel bicchiere eccellente, con sentori di camomilla, rosa canina, che dopo il naso tornavano anche all’assaggio. Veramente un grande champagne agé.
E cosa dire di Dom Pérignon? Ennesima dimostrazione di un’evoluzione splendida negli anni. Ormai, le bolle sono quasi un ricordo, ma la firma di Dom Perignon rimane intatta, pure in una trasfigurazione che ricorda per certi versi la burrosità di un Meursault ed in una interpretazione diversa da quelle recenti (più dosaggio?).
Trebbiano Valentini. Dopo una prima bottiglia non convincente (che stando nel bicchiere ha avuto una degradazione drammatica, a dimostrazione di una bottiglia iellata), Marco con nonchalance ne apre una seconda identica, stavolta potabile. Devo dire che in alcuni casi Valentini mi ha davvero emozionato. Stavolta, complici chi lo ha preceduto e, soprattutto, chi lo ha seguito, molto meno. Anche perché, dopo i primi 10 minuti promettenti, ha mostrato uno spunto acetico non proprio piacevole.
Poi, come ho scritto, è arrivato un trittico memorabile...
Il Criot-Batard-Montrachet di Charles Laurent è stato, se la memoria non mi inganna, il primo che ho bevuto di questa micro-denominazione, per di più, di un negociant mai sentito nominare. E cosa dire? Grande bottiglia davvero! Una profondità, una lunghezza, un equilibrio tra le parti, che mi hanno fatto pensare: “sarà il vino della giornata!”. Ma non potevo immaginare chi sarebbe arrivato dopo...
Il Montrachet di Prieur è definibile con un solo sostantivo: capolavoro. Molti commensali ne hanno elogiato la potenza. Per me, il tratto saliente è stata l’eleganza. Un vino di lunghezza impressionante, senza una nota fuori posto, che inizialmente mi aveva fatto pensare ad uno Chevalier-Montrachet di Leflaive in grandissimo spolvero. Dopo averci dormito su, riconfermo la mia idea di ieri: tra i 5 (per tenermi largo) bianchi migliori della mia vita.
Paradossalmente, il vino precedente ha addirittura messo un po’ in ombra nientemeno che un Montrachet di Ramonet! In questo caso, tanto per dire come tutto sia relativo, credo che altri 6/7 anni in bottiglia, a smorzare ancora un pochino quelle note di legno tipiche dei Ramonet più giovani (molto belle, ma leggermente prevaricanti), potrebbero fargli solo bene. Definire un bianco di vent’anni “giovane” si può? Non saprei... ma, per quanto già buonissimo (senza dubbio, almeno per me, secondo nella classifica dei bianchi, con distacco sui successivi), qualche anno in più gli potrebbe regalare una definizione anche migliore.
Per ora mi fermo... dopo, due impressioni anche sui rossi.